domenica 20 settembre 2015

La Lettura del Corriere 20.9.15
L’eco-teologo suona il rap
Domenicano espulso, guru delle tecnomesse
Matthew Fox: reinventiamo il cristianesimo
intervista di Elisabetta Rosaspina


Biografia
Teologo, espulso dall’ordine domenicano nel 1993 su richiesta dell’allora cardinale Ratzinger, prete episcopale, Matthew Fox (foto) è nato nel 1940 nel Wisconsin
Il libro in uscita da Garzanti
L’ultimo libro di Fox è Confessioni di un cristiano ribelle (trad. di Gianluigi Gugliermetto, Garzanti, pp. 312, e 18,60). L’autore lo presenterà a Torino il 25 settembre (ore 10, Circolo dei lettori) al pubblico di Torino Spiritualità

Vita e avventure di un rivoluzionario don Matteo americano raccontate da lui medesimo. Con ironia, con serena convinzione, con una buona dose di irriverenza e con una visione molto personale del cosmo, della Terra e dei suoi abitanti. Ma, soprattutto, del sacerdozio e della liturgia.
Le Confessioni di un cristiano ribelle , che Garzanti pubblica questa settimana, guidano i lettori nell’autobiografia ragionata di Matthew Fox, il teologo del Wisconsin che l’Ordine dei Domenicani espulse 22 anni fa e che il Vaticano preferirebbe non sentire più nominare, già dai tempi in cui Joseph Aloisius Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede prima di diventare Papa Benedetto XVI, condannò per disobbedienza e per certe sue insidiose, accattivanti teorie sulla «spiritualità del Creato».
Settantacinque anni ancora da compiere, una trentina di libri al suo attivo, sette dei quali già tradotti in italiano, l’ex frate, accolto come prete dalla Chiesa Episcopale nel 1994, presenterà venerdì 25 settembre al Circolo dei Lettori di Torino, in occasione di Torino Spiritualità, la versione riveduta e aggiornata delle sue Confessioni , uscite negli Stati Uniti quasi vent’anni fa e ora tradotte dal discepolo italiano, Gianluigi Gugliermetto.
Dalle prime divergenze con la Santa Sede sono passati oltre trent’anni e si sono succeduti tre papi, ma le distanze tra la dottrina cattolica e il pensiero del prete anticonformista non si sono accorciate: Matthew Fox predica la spiritualità della Natura, la presenza divina nel creato, un Dio «Padre e Madre» che scandalizzò le alte gerarchie vaticane almeno quanto l’invito a liberarsi dai sensi di colpa legati al peccato originale, a celebrare la vita e a mutuare la visione cosmica dalla tradizione mistica occidentale, cristiana o di altre religioni. Nel solco di Ildegarda di Bingen (XII secolo), di Tommaso d’Aquino e del domenicano trecentesco Meister Eckhart. Quel che comunque fu chiaro al giovane Matthew fin dall’inizio dei suoi studi, nel 1967, all’ Institut Catholique di una Parigi già in ebollizione sessantottina, era la necessità di conciliare religione e sete di giustizia sociale, anche per riuscire a trattenere le nuove generazioni, refrattarie a dogmi e riti, ma non alla ricerca della spiritualità.
Mancavano soltanto dieci anni alla fondazione dell’Istituto di Cultura e Spiritualità del Creato, al Mundelein College di Chicago: la prima docente assunta dal frate fu una danzatrice, Tria Thompson, per lezioni di danze popolari in cerchio e tecniche di movimento del corpo: «Questo — scrive Fox nella sua autobiografia — era il mio modo di fare qualcosa di concreto per affrontare la dicotomia corpo-anima che da anni ormai percepivo come il centro della sventurata spiritualità di caduta e redenzione». La separazione dal cattolicesimo romano, spiega l’autore, non voleva essere un addio: «Si è trattato di includere un sano realismo anglosassone (e celtico) nel cattolicesimo del XXI secolo». Un anno dopo, a Seattle, l’incontro con quattro giovani inglesi provenienti dalla scena del rave gli indica la via verso «nuove forme di liturgia occidentale». Due mesi dopo è su un aereo per Sheffield per partecipare alla sua prima «messa planetaria» con 500 ventenni, musica rap e le immagini video dei «giuda» contemporanei, l’ex premier conservatore John Major che stringe la mano al democratico Bill Clinton, e degli «stregoni», i televangelisti pronta cassa.
Padre Fox, ma quanti fedeli conta davvero, oggi, nel mondo?
«Non saprei dirlo — ride, al termine della tappa scozzese del suo tour europeo —. I miei libri vendono tra un milione e mezzo e due milioni di copie, ma l’altra sera a Edimburgo avevo soltanto poche centinaia di spettatori in platea. Devo dire che il numero non m’importa granché. In America ho i miei studenti, e io non sono un guru né un vescovo».
I tempi sono cambiati anche in Vaticano, con l’arrivo di Papa Francesco, molto più aperto di Ratzinger. Non trova?
«Non è difficile avere una mente molto più aperta di Ratzinger. Pero è vero. Francesco parla finalmente del lato oscuro di Wall Street, di ecologia, ed è apprezzato per il suo ecumenismo, visto che uno dei suoi migliori amici è il rabbino Abraham Skorka. Si è mostrato vicino ad altri mondi cristiani e sta facendo il possibile per riformare la sua Chiesa. Ma è circondato dalle alte gerarchie clericali scelte dai suoi predecessori, che volevano soprattutto una corte di yesman e non riceverà un sostegno adeguato. I vescovi sudamericani, cresciuti a potere e obbedienza, non sanno cosa fare con questo nuovo Papa. In California il cardinale Burke è ancora molto influente. Tuttavia combattere il Pontefice non è facile, forse nemmeno possibile, né desiderabile».
Dunque?
«Si tratta di reinventare il cristianesimo, un progetto più semplice, ecumenico e universale. Ma i giovani che si sono allontanati dalla Chiesa non torneranno, con tutti gli scandali che hanno coinvolto il clero. Non dimenticheranno».
In che cosa consiste la sua eco-teologia?
«Al pianeta non interessa se sei cattolico, anglicano, buddhista o musulmano. La Terra è molto più vecchia delle nostre religioni. Ma tutti coloro che credono possono aiutare a salvarla. Tocca alla Chiesa, intesa come gente di Dio e non come cardinali, il compito di contribuire. È in gioco il futuro di tutti. Credo sia ancora possibile riuscirci. Con l’enciclica Laudato si’, Francesco si ricongiunge alla tradizione delle quattro vie della spiritualità del creato che Ratzinger definì pericolosa e deviante. Si rivolge a tutti noi che vediamo svanire la salute e la bellezza del pianeta sotto i nostri occhi. Questa enciclica può illuminare chi ancora non vuole ammetterlo ».
Sembra tanto fiducioso sul futuro del mondo quanto pessimista su quello della Santa Sede.
«Sì, è così. Sono ottimista, purché le persone si sveglino e lavorino duro. Mentre mi delude il Vaticano che sta per canonizzare un missionario razzista e crudele come fu il francescano Junipero Serra contro le popolazioni indigene dell’Alta California, nel diciottesimo secolo. Centocinquant’anni dopo Copernico questo frate insegnava ancora che la Terra è il centro dell’universo e il Sole le gira attorno. Fu un colonizzatore spietato per conto dell’impero cattolico-spagnolo, creò campi di lavoro forzato e io ancora non riesco a credere che Papa Francesco non sia stato informato delle nefandezze commesse da Serra sulla costa occidentale americana».
A dire il vero è stato Giovanni Paolo II a iniziare il processo di beatificazione di Serra, considerato un eroe dell’evangelizzazione.
«Spero e prego che Papa Francesco si fermi prima che sia troppo tardi. Noi lo sosteniamo nella sua battaglia ecologica, ma occorre imparare dagli indigeni e non solamente parlarne. Le parole non bastano più».
I suoi libri, come «In principio era la gioia» o queste «Confessioni di un cristiano ribelle», ci mettono 20 anni ad arrivare in Italia: come mai?
«No, non voglio pensare male. Credo piuttosto che l’Italia abbia una cultura così ricca e speciale, una storia creativa così densa da resistere un po’ all’invasione straniera. O perlomeno non ha abbastanza tempo da dedicarle. Però gli italiani hanno iniziato a leggere e a comprendere la mia teologia. Possiedono le basi per condividerla, avendo nel loro passato culturale Dante Alighieri, così olistico e cosmologico. E condannato tre volte come eretico, per di più. Per gli italiani è naturale ascoltare, oltre alla voce del Papa, anche quella di chi sostiene che scienza e religione vanno insieme. È il Paese di Leonardo da Vinci».
Celebrerà una messa tecno-cosmica anche a Torino?
«Mi piacerebbe, ma richiede un’organizzazione complessa. Ci vogliono almeno trenta persone fra tecnici, deejay, rapper, informatici, e poi bisognerebbe anche retribuire il loro lavoro. Peccato. Sarebbe un’esperienza formidabile».