Il Sole Domenica 6.9.15
Il tempo della fisica
La misura è alla base di tutto
di Vincenzo Barone
Per eliminare certe «asimmetrie» nella descrizione dei fenomeni elettromagnetici, il ventiseienne Albert Einstein capì che bisognava scavare in profondità e ripensare i fondamenti della fisica, in particolare l’idea di tempo. Questo colpo di genio portò alla nascita della teoria della relatività, che è in effetti un lungo discorso sul tempo – il più solido e affidabile che sia mai stato fatto (come dimostra la mole di evidenze sperimentali che lo sostiene).
Dal punto di vista del fisico, ripensare il tempo vuol dire interrogarsi sulla sua misura. «Tutti i nostri giudizi in cui interviene il tempo – scrive Einstein nel famoso articolo del 1905 – sono sempre giudizi su eventi simultanei. Se io per esempio dico: “Quel treno giunge qui alle ore 7”, ciò equivale a dire “Il posizionamento della lancetta del mio orologio sul 7 e l’arrivo del treno sono eventi simultanei”». È a partire da questo tipo di riflessioni, apparentemente banali, che la fisica costruisce i propri sorprendenti risultati. E la teoria della relatività non è certo avara di sorprese e di clamorose sfide al senso comune. La sua predizione fondamentale è che il tempo dipende dal sistema di riferimento (un orologio in movimento e uno fermo misurano tempi diversi) e la simultaneità non è assoluta: se due eventi sono simultanei per un osservatore, non lo sono per un altro osservatore in moto rispetto al primo. Le durate e le frequenze sono relative, e può accadere che anche la successione temporale degli eventi si inverta. È un totale stravolgimento del tempo comunemente inteso, che tocca la nostra stessa identità fisico-matematica: non siamo aggregati di punti che si muovono nello spazio mentre il tempo, uguale per tutti, scorre da qualche parte, dentro o fuori di noi; siamo piuttosto fasci di linee di universo che esistono in un continuo quadridimensionale, lo spazio-tempo.
Che cos’è allora il presente – ciò che di più reale e immediato possiamo immaginare? È semplicemente il mio «qui e ora» (un singolo evento), oppure l’insieme (di estensione temporale variabile) di tutti gli eventi che non sono connessi causalmente a me (cioè che non posso influenzare, né possono influenzarmi) e che, pur essendo per me passati o futuri, sono, per altri osservatori, presenti? Non spetta al fisico rispondere a queste domande e assegnare l’etichetta di «presente» a una certa regione dello spazio-tempo. Il suo compito è quello di indicare le regole del gioco spazio-temporale. Per esempio, l’esistenza di una velocità limite (la velocità della luce nel vuoto) comporta che il passato e il futuro accessibili siano più ristretti di quelli che si avrebbero in un mondo in cui fossero ammesse le azioni istantanee. Ma, fortunatamente, tutto si combina in modo tale che i rapporti temporali di causa ed effetto siano preservati in senso assoluto: una causa precede sempre l’effetto, per tutti gli osservatori.
Saranno i neuroscienziati a decifrare prima o poi (in parte hanno cominciato a farlo) il tempo psicologico, permettendoci di tradurlo nel tempo fisico (un problema che Henri Poincaré aveva già chiaramente posto nel 1898). Per il momento, continuiamo a riflettere sulle parole che Einstein scrisse in occasione della morte del suo amico Michele Besso, con cui aveva condiviso i primi pensieri sulla relatività: «Per chi crede nella fisica, la separazione tra passato, presente e futuro ha solo il significato di un’illusione, per quanto tenace».