domenica 6 settembre 2015

Il Sole Domenica 6.9.15
XIX secolo
Il preludio della Grande Guerra
Orlando Figes traccia un affresco del conflitto in Crimea, il maggiore in Europa dopo la trafila di guerre napoleoniche, e il più cruento
di Valerio Castronovo


Benché divulgata da una folta schiera di reporter e fotografi presenti sulla scena degli scontri, la guerra di Crimea lasciò ben poche tracce nella memoria collettiva. Altrettanto scarsa è stata l’attenzione dedicatale dalla letteratura storiografica. Eppure quella combattuta fra il 1854 e il 1856 coinvolse Russia, Impero ottomano, Francia, Gran Bretagna, Regno di Sardegna e i territori che formarono poi la Romania e la Bulgaria. E fu non solo, dopo la trafila di guerre del periodo napoleonico, il maggior conflitto scoppiato in Europa nell’Ottocento e il più cruento, in quanto provocò la morte di almeno 750mila persone fra i soldati uccisi in battaglia o deceduti per malattia, a non contare un numero ingente di vittime civili. Fu anche una sorta di preludio della Grande Guerra, poiché vide sia l’impiego di alcuni armamenti realizzati con le nuove tecnologie industriali, sia una lunga sequenza di combattimenti, durante l’assedio di Sebastopoli, condotti dalle contrapposte trincee, estese complessivamente per oltre un centinaio di chilometri.
Su questi e altri aspetti della guerra in Crimea lo storico inglese Orlando Figes ha tracciato un ampio affresco, che si raccomanda per la varietà di fonti documentarie (comprese quelle costituite da lettere e diari di numerosi soldati) e un’interpretazione esaustiva dei complessi motivi e risvolti di quell’evento, la cui importanza è stata per lo più sottovalutata. Scoppiata nel 1853, in seguito al diniego opposto dalla Turchia alla pretesa della Russia di rappresentare i cristiani ortodossi residenti nell’Impero ottomano (che altrimenti avrebbe suscitato un’insurrezione islamica e nazionalista nella capitale dalla Sublime Porta), il conflitto, circoscritto inizialmente alle contrade dei principati danubiani di Moldavia e Valacchia, assunse più ampie dimensioni dal settembre dell’anno dopo, per l’intervento di truppe francesi e inglesi a fianco della Turchia, con la concentrazione dei combattimenti in Crimea e l’apertura di altri fronti nel mar Baltico e nel Caucaso.
Se Napoleone III mirava, in contesa con lo zar Nicola I, al controllo dei Luoghi santi (a protezione della comunità cattolica) e a recuperare alla Francia un ruolo di maggior prestigio all’estero, la Gran Bretagna della regina Vittoria puntava a sua volta a sferrare un duro colpo all’Impero russo, in quanto temeva che divenisse un pericoloso rivale in Asia a scapito di un’espansione dei suoi traffici commerciali. Peraltro, sebbene vi fossero in ballo concreti interessi sia politici che economici, l’intervento di Parigi e di Londra s’ispirò anche all’intento di condurre una “crociata” per la difesa della libertà e della civiltà europea, contro il dispotismo e l’aggressività della Russia zarista. Da parte sua Nicola I era convinto di dover combattere una guerra di religione per portare a compimento la missione della “santa Russia”, consistente nell’allargamento dell’impero sino a Costantinopoli e a Gerusalemme: al punto da credere che Dio fosse dalla sua parte nella sfida contro quanti intendevano sbarrargli il passo.
Dopo la caduta di Sebastopoli (su cui Tolstoj, allora ufficiale durante l’assedio della città, scrisse poi pagine esaltanti il coraggio e la forza di resistenza dei russi), il trattato imposto ad Alessandro II dalla Conferenza di pace (tenutasi a Parigi tra il febbraio e l’aprile 1856) non determinò comunque sostanziali mutamenti territoriali nella mappa dell’Europa, in quanto la Russia dovette cedere solo la Bessarabia meridionale alla Moldavia. Ma essa aveva subìto un grave scacco, che umiliò il proprio orgoglio e sentimento nazionale, per cui avrebbe covato da allora un profondo risentimento nei confronti dell’Europa, accusata di aver tradito, schierandosi a fianco di una potenza musulmana, la causa della Cristianità.
A ogni modo, il trattato di Parigi segnò un importante spartiacque nello scacchiere internazionale. Sia perché si dissolse, dopo la sconfitta della Russia, il bastione per eccellenza del conservatorismo che essa aveva continuato a rappresentare insieme all’Austria all’indomani della Santa Alleanza; sia perché la Gran Bretagna ebbe campo libero per la sua penetrazione economica e politica verso l’India e l’Afghanistan (anche perché i russi, dopo la disfatta, rivolsero i propri piani imperiali alla conquista dei territori dell’Asia centrale). Dal canto suo Napoleone III, avvicinatosi al nuovo zar (che intendeva rivalersi nei confronti di Vienna, a cui non perdonava di essere rimasta neutrale durante la guerra di Crimea favorendo così, in pratica, francesi e inglesi) si assicurò che la Russia avrebbe adottato la medesima tattica degli Asburgo, qualora la Francia fosse intervenuta in Italia per acquisire Nizza e la Savoia appoggiando, in cambio, il Regno di Sardegna in una guerra contro l’Austria per sottrarle la Lombardia e altri territori. D’altronde, proprio al fine di ottenere il sostegno franco-britannico alla causa della nazionalità italiana, Cavour aveva inviato in Crimea un corpo di spedizione piemontese. Fu così che, pur tenutasi prudentemente fuori dalla guerra di Crimea, fu in pratica l’Austria a subire le maggiori perdite dagli sviluppi del Congresso di Parigi.
Orlando Figes, Crimea. L’ultima crociata, Einaudi, Torino,
pagg. 532, € 35,00