domenica 6 settembre 2015

Il Sole Domenica 6.9.15
Incontro-scontro tra civiltà
Montezuma in carne e ossa
di Piero Boitani


Nella lettera che Hernán Cortés inviò all’mperatore Carlo V il 30 ottobre 1520 – la seconda delle Cartas de relación – il più celebre dei Conquistadores europei del Nuovo Mondo raccontò dell’incontro che aveva avuto con Montezuma, il sovrano azteco. Un imponente corteo di duecento notabili accompagna il re e la cerimonia segue un rituale preciso che comprende lo scambio di doni. A un certo punto Montezuma prende Cortés per mano, lo guida dentro una sala, lo fa accomodare, gli chiede di aspettare, e sparisce. Ritorna poco dopo con grande quantità d’oro, argento, piume e «cinquemila o seimila vesti di cotone tessute riccamente». Poi, Montezuma inizia a parlare. Racconta come gli aztechi siano venuti da terre lontane, guidati da un signore che poi se n’è andato per sempre, senza esser seguito dagli uomini che aveva condotto in Messico. «Da allora», prosegue il sovrano, «abbiamo creduto che i suoi discendenti sarebbero tornati un giorno per conquistare il nostro paese e fare di noi i loro vassalli. Per il fatto che voi dite di venire da quella parte del mondo dove si leva il sole, e per tutto quello che raccontate del potente re che vi ha mandati, siamo convinti che egli sia il nostro antico signore, tanto più che voi affermate che egli sa di noi da lungo tempo. Siate dunque certo che noi vi obbediremo e guarderemo a voi come capo, come ministro di quel potente signore di cui parlate, e che non dovrete temere falsità né inganni». Senza farne il nome, il sovrano accenna dunque alla credenza nella venuta dei discendenti di Quezalcoatl, il serpente piumato che tanta parte aveva nel panteon azteco. Infine, Montezuma smentisce di avere palazzi tappezzati d’oro e di essere un dio. Solleva la veste, mostra a Cortés il proprio corpo e pronuncia le seguenti parole: «Guardami, sono di carne e ossa come voi e come tutti gli altri, e sono mortale e palpabile».
Mortale e palpabile: come voi. Montezuma sembra aver capito benissimo che gli spagnoli non sono divinità. Li associa però all’oriente, dove il suo antico antenato è scomparso, e quell’antenato lega al re potente degli uomini venuti per conquistare il suo paese. Perciò, offre obbedienza. Montezuma si mostra ingenuo e insieme realista. Gli spagnoli hanno armature, cavalli, archibugi e cannoni: meglio servirli. Non ha capito, però, la natura e i desideri del suo interlocutore. Hernán Cortés è ben deciso a non tralasciare nulla che gli impedisca la conquista totale e definitiva del Messico. Nulla, infatti, lo fermerà, e Montezuma pagherà con la vita la sua fiducia nel Capitano e l’obbedienza che gli offre.
È un momento cruciale nella storia del mondo occidentale moderno, l’incontro tra due civiltà. Ma a cinquecento anni da allora, l’immagine che abbiamo degli aztechi, la civiltà con la quale venimmo in contatto, è generalmente approssimativa: un popolo forte e crudele, dedito a guerre costanti e al sacrificio di esseri umani – proprio l’icona che i Conquistadores spagnoli volevano si fissasse nella mente dell’Europa, in modo che le loro imprese, e la conversione spesso forzata delle popolazioni sottomesse, venissero giustificate. Perciò, è benemerita l’impresa di Luisa Pranzetti e Alessandro Lupo, che hanno curato in modo inappuntabile un Meridiano molto bello e pieno di informazioni sulla religione e i culti, la vita quotidiana, i miti fondativi e ogni aspetto della cultura azteca, dall’astronomia all’agricoltura, dall’organizzazione politica alla scrittura pittografica e alla letteratura. Con un’ampia sezione sulla Conquista: sulla famosa Malintzin-Malinche, la donna indigena che fu interprete e amante di Cortés, sulle alleanze che il Capitano seppe costruirsi, le sue astuzie, la costruzione della flotta per prendere la capitale azteca.
Perché sì, che gli aztechi, come del resto altri popoli dell’America centrale, praticassero il sacrificio umano, è perfettamente vero: lo sperimentarono sulla loro pelle quegli spagnoli che, dopo la fuga di Cortés nella «notte triste» del 30 giugno 1520, finirono sugli altari, i cuori palpitanti strappati dai petti, i corpi buttati giù dalle gradinate, volti scuoiati, braccia e gambe divorati. Ma i civilissimi spagnoli non furono da meno: a Cholula massacrarono, come ricorda Bartolomé de las Casas, più di cinquemila persone in meno di cinque ore, e successivamente distrussero la capitale dell’impero, Tenochtitlan, sterminando l’aristocrazia e torturando e impiccando il successore di Montezuma, Cuauhtemoc. L’incontro fu dunque uno scontro di civiltà. Ma gli aztechi stessi erano nuovi venuti. Tenochtitlan (sulle sue rovine, Città del Messico) era stata fondata da soli duecento anni, e le piramidi che si vedono oggi non lontano, a Teotihuacan, edificate prima da un’altra popolazione. Tuttavia, Tenochtitlan, una sorta di Venezia nel centro del Messico, appare meravigliosa allo stesso Cortés: grande quanto Siviglia o Cordoba, con le strade principali larghissime e drittissime, piena di torri, palazzi, negozi, mercati, templi. Un luogo unico, che egli non vorrebbe distruggere. Ma le ragioni della Conquista furono più forti.
Civiltà e religione degli Aztechi , a cura di Luisa Pranzetti e Alessandro Lupo, Milano, Meridiani Mondadori (Classici dello Spirito), pagg. LXX+1326, € 68,00.