domenica 6 settembre 2015

Il Sole Domenica 6.9.15
Paradossi del tempo
Il punto fuori dalla retta
di Remo Bodei


Proviamo a uscire dal senso comune basato sui principi di Aristotele e Newton secondo cui c’è un presente che scorre tra passato e futuro
L’immagine del tempo prevalente nel nostro senso comune (che dipende dalla Fisica di Aristotele, ma è confermata anche dai Principia di Newton, per cui questo l’unico tempo verum et mathematicum) è costituita da una retta infinita sulla quale scorre, a velocità costante, un punto indivisibile e inesteso, il presente, che avanza separando in maniera irreversibile il passato, che gli resta alle spalle, dal futuro, verso cui inesorabilmente si dirige. Si tratta, senza dubbio, di un’idea esemplarmente semplice ed efficace, che appare evidente, di cui ci serviamo continuamente con successo e da cui è difficile staccarci. Ma è anche vera o l’unica vera?
Appena affrontiamo il problema, vediamo sorgere diversi paradossi (da intendersi non come assurdità, bensì come affermazioni che vanno contro l’opinione, la doxa, dominante), forniti di differenti gradi di plausibilità. “Aprendo” il concetto di tempo nelle sue strutture elementari, come un bambino smonta un giocattolo, vedremo, appunto, scaturire da ogni sua componente (la linea, il punto, lo scorrere, la velocità, la divisibilità in parti uguali, l’unicità, la direzione) paradossi o apparenti mostri concettuali. Abbandoniamoci al dubbio su quello che ci sembra evidente e proviamo – seguendo in questo campo la massima di Sun Tzu secondo cui l’imprevedibile vince e l’ovvio perde – a logorare e a sabotare l’idea di validità assoluta attribuita alla nostra familiare immagine del tempo. Per coglierne alcuni sorprendenti aspetti, prepariamoci dunque, serenamente e senza pregiudizi, a un moderato brainstorming, a uno spiazzante, ma affascinante esercizio mentale.
Prima, però, riflettiamo brevemente su come complessi concetti filosofici o scientifici vengono lentamente ereditati, filtrati e semplificati, sedimentandosi poi sul senso comune e aderendovi a tal punto che, per uscirne, occorre far violenza sulla nostra abituale maniera di pensare. L’idea tradizionale di tempo non prevede che, nel suo scorrere, qualcosa permanga. Le grandi filosofie o le grandi opere d’arte sono, tuttavia, insituabili nell’ordine di successione, del prima e del poi, di un tempo che cancella le sue tracce. Pur apparendo nel tempo, la verità filosofica o il valore artistico di un’opera non sono, dunque, strettamente filiae temporis, ma neppure eterni in senso edificante o rigidamente immodificabili. Ogni grande filosofo o poeta aiuta a capire il suo tempo, ma già questo tempo gli sta stretto. Se realmente grande, egli è, infatti, contemporaneo di tutte le epoche precedenti e successive. Così, malgrado il trascorrere dei secoli, Platone o Spinoza sono più contemporanei dei nostri contemporanei, continuano e continueranno a parlarci. Analogamente, Sofocle o Shakespeare continueranno a mostrarci gli abissi dell’animo umano e delle sue vicende. Questo succede non perché la filosofia o il dramma abbia la virtù di non invecchiare, ma perché i classici rifioriscono a ogni stagione, perché ci permettono di abbandonare il vicolo cieco di una verità che non ha storia e di una storia che non ha verità, perché eludono il dilemma dell’essere inattuali o attuali, dentro o fuori del proprio tempo. Il senso comune congela invece in maniera metastorica la soppressione dell’alternativa tra una verità senza storia e una storia senza verità e trasforma lo scorrere del tempo in una verità ab-soluta, ossia avulsa da qualsiasi nucleo di relativa di permanenza e dalle metamorfosi della memoria.
[…] Riflettendo sul tempo psichico, Freud ha individuato il nesso tra il tempo che passa e quello che non passa suggerendo – in poche righe di Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, del 1915 – un’ardita soluzione. Per comprenderla, bisogna confrontare la sua ipotesi con quella di Leibniz, in cui il tempo costituisce l’ordine della successione, mentre lo spazio quello della coesistenza (diversamente da Newton, non esistono per lui spazio e tempo absoluti, sciolti cioè dalla presenza degli enti del mondo). Lo spazio «è l’ordine che rende i corpi situabili, e mediante i quali essi, esistendo insieme, hanno una posizione relativa fra loro; allo stesso modo anche il tempo è un ordine analogo, in rapporto alla loro posizione successiva». In Freud il tempo assume, invece, la doppia natura del tempo e dello spazio leibniziani, in quanto «la successione comporta anche una coesistenza». Il passato rimosso, immobile e incistato in un ricordo troppo traumatico per essere portato alla coscienza, coesiste così con il presente che continua a scorrere. Viviamo a due velocità, secondo un tempo che fluisce liberamente e un altro vischioso, che non si muove o si muove in ritardo.
[…] Può in alcuni casi il presente apparire come precisamente identico al passato, come una sua copia perfetta? Possono l’ora e l’allora, il qui e l’altrove coincidere esattamente? Questo accade spesso, di fatto, nel fenomeno, apparentemente bizzarro, del déjà vu. Capita a tutti di avere la netta e irrefutabile impressione di aver già visto, in un insituabile passato, lo stesso paesaggio che hanno davanti o di aver conosciuto una determinata persona che hanno appena incontrato, pur essendo, simultaneamente, certi di non essere mai stati in quel posto e di non aver mai conosciuto quella persona. Vi è quindi un paradossale conflitto tra la percezione ed il ricordo, un appiattimento del passato nel presente o un corto circuito tra presente e passato che mette in scena uno scontro tra certezza e verità, tra convinzione e confutazione della realtà. L’irreversibilità del tempo viene affermata e negata, mentre il passato si ripresenta nelle mentite spoglie del presente o, che è lo stesso, il presente assume la forma del passato.
[…] Ho accumulato diversi paradossi per mostrare come una nozione apparentemente così semplice e intuitiva qual è il tempo contenga elementi eterogenei e formi, al massimo, un concetto a grappolo. Non si deve tuttavia trarre la conclusione che essa sia falsa. Fornisce, al contrario, uno schema semplice e utile, che corrisponde perfettamente alle esigenze della vita quotidiana e a quelle della maggior parte delle pratiche e dei sistemi di misurazione. L’errore del senso comune consiste nel considerare l’immagine comune del tempo espressione del tempo per antonomasia e non piuttosto una delle sue molteplici forme entro cui l’esperienza e le conoscenze umane possono essere pensate adattandole ai differenti fenomeni.
Testo tratto dalla Lezione magistrale che si terrà a Modena, in Piazza Grande, venerdì 18 settembre alle ore 18