domenica 27 settembre 2015

Il Sole 27.9.15
Miller senza Bibbia
Nella biblioteca dello scrittore mancava il testo biblico. Eppure egli espresse la volontà di leggere la «Summa» di Tommaso d’Aquino
di Gianfranco Ravasi s. j.


L’anno scorso Adelphi ha pubblicato I libri nella mia vita di Henry Miller, una serie di incontri (e non solo letture) con testi da lui considerati significativi, una tribù di autori molto eterogenei tra loro. Alla fine lo scrittore dei Tropici ha aggiunto anche una lista dei «cento libri che mi hanno influenzato di più»: un po’ a sorpresa, non ho trovato la Bibbia che per uno scrittore di lingua inglese – anche, o forse proprio perché anticristiano – è piuttosto sorprendente (in verità mancano anche, ad esempio, Dante, Shakespeare e Goethe). Pensavo che una traccia labile fosse nel saggio, presente sempre in questo volume, intitolato Le pianure di Abramo, ma leggendolo ho scoperto che in realtà si tratta di un’indicazione topografica nei pressi di Québec. Miller, però, aggiunge in finale anche un elenco dei «libri che ho intenzione di leggere» e qui, stupefatto, trovo nientemeno che la Summa Theologica di san Tommaso d’Aquino, ma non la Bibbia.
In realtà, le S. Scritture rimangono – come aveva dimostrato Northrop Frye nel suo celebrato Il grande codice – il lessico linguistico, simbolico e tematico di riferimento della cultura occidentale. Per confermarlo ogni tanto su questo mio spazio domenicale infilo una sequenza di saggi che anche l’editoria di un popolo di scarsi lettori e praticanti, com’è quello italiano, continua a sfornare in modo impressionante. Piero Stefani, ad esempio, ha documentato sotto un titolo molto suggestivo (L’esodo della Parola) e attraverso otto categorie ideali (creazione, liberazione, memoria e testimonianza, il povero, lo straniero, la verità, il peccato e l’escatologia), quanto abbia influito la Bibbia nella nostra cultura. In modo più sofisticato e accademico un’operazione analoga è stata condotta anche da una pattuglia prevalentemente di studiose, così da comporre una sequenza di figure femminili storiche che si sono confrontate con la Bibbia durante la crisi dell’Europa cattolica con la Riforma protestante e la Controriforma (secoli XVI-XVII).
Ma la raggiera cartacea abbraccia soprattutto le analisi dei testi sacri, una ricerca insonne e in-finita, se è vero l’asserto di san Gregorio Magno secondo cui «la Scrittura cresce con chi la legge». Come abbiamo fatto in altre occasioni, scegliamo quasi casualmente nell’impressionante molteplicità di volumi che sono apparsi in questi ultimi mesi. La Bibbia si apre col Pentateuco o Torah, i primi cinque libri, che costituiscono il cuore di ogni sinagoga e che sono rubricati (impropriamente) con il termine “Legge”. Per affacciarsi su questo orizzonte, criticamente complesso e studiato fino all’estenuazione, due esegeti, Galvagno e Giuntoli, hanno approntato un’“introduzione” significativamente intitolata Dai frammenti alla storia. Il testo diventa anche «una cartina di tornasole dell’impatto della modernità sulla comprensione della rivelazione biblica».
Quando Benigni ha presentato il Decalogo in televisione ha ringraziato il teologo valdese Paolo Ricca per la sua consulenza esegetica. Lo stesso studioso, dialogando con Gabriella Caramore, la bravissima conduttrice della trasmissione «Uomini e profeti» di Radio Tre, aveva già svelato tutte le iridescenze di queste Dieci parole di Dio, vere e proprie “tavole della libertà e dell’amore”, contenute in duplice versione in altrettanti libri del Pentateuco (Esodo 20 e Deuteronomio 5). Più avanti nella Bibbia ci vengono incontro i cosiddetti “libri sapienziali”, ed ecco la raccolta poetica dei 150 Salmi: un professore americano, N.T. Wright, ci spiega «perché sono essenziali» sia per la preghiera di Israele, sia per quella di Gesù e dei cristiani, e lo fa attraverso una serie di lezioni-appelli ove s’intrecciano poesia e fede.
Si passa, così, alla terza sezione dell’Antico Testamento in cui risuona la voce dei profeti che artiglia la coscienza anche dell’uomo di oggi. Ad alcuni di essi, alla loro “chiamata individuale” e al loro “ministero comunitario” dedica una serie di riflessioni di taglio narrativo un biblista ormai scomparso, Pietro Lombardini, appassionato interprete delle Scritture ebraiche, “cuore di Dio e cuore dell’uomo”, come dice il titolo di un’altra sua raccolta di letture bibliche. Talora nella voce dei profeti sembra affiorare il grido di un Dio collerico, per non parlare poi delle tante Immagini di violenza divina nell’Antico Testamento: sotto questa definizione una ricercatrice, Debora Tonelli, sottopone ad analisi accurata tre pagine anticotestamentarie roventi. Due sono inni marziali di grande potenza, il cantico di Mosè (Esodo 15) e il carme di Debora (Giudici 5), mentre il terzo è una preghiera possente del profeta Abaquq (c. 3).
A questo punto dovremmo inoltrarci nel Nuovo Testamento, ove è ancor più fitta la selva bibliografica ininterrottamente alimentata anche ai nostri giorni. Preferiamo lasciare questo orizzonte a una futura puntata delle nostre rassegne di pubblicazioni religiose. Destiniamo lo spazio che ci rimane a un saggio molto interessante e limpido fin dal suo titolo che recita Corpo, anima e spirito nella Bibbia, opera di un biblista udinese di lungo corso e notorietà, Rinaldo Fabris. È evidente quale sia il soggetto ma anche la difficoltà della sfida a illustrarlo: l’antropologia dei due Testamenti non è, infatti, né unitaria o univoca – e quindi si dovrebbe parlare di “antropologie bibliche” – né segue un taglio analitico, strutturale ed “essenziale”, bensì è protesa a collocare concretamente la creatura umana nel contesto della storia.
Così, più che definire rigorosamente delle categorie, la Bibbia si preoccupa di descrivere relazioni e vicende immanenti e trascendenti; non per nulla il sottotitolo del volume suona così: “Dalla creazione alla risurrezione”. Ciò non toglie che, vagliando l’immenso materiale offerto dai 73 libri che compongono le S. Scritture, non si possano elaborare alcuni capisaldi tematici che Fabris raccoglie attorno a una dozzina di passi emblematici dai quali fa fluire una serie di percorsi molto significativi. In tal modo, anziché affidarsi a categorie codificate dal nostro linguaggio – classificazioni lessicali pur necessarie come “corpo, anima, spirito” del titolo –, si cerca di isolare il profilo biblico della creatura umana attraverso una sorta di itinerario diacronico che si apre con le pagine capitali d’esordio della Genesi e approda all’affresco finale escatologico della Lettera ai Romani di san Paolo.
Per riprendere l’avvio del nostro articolo, dobbiamo comunque riconoscere che anche in questo ambito specifico si rivela l’impatto culturale della Bibbia, tant’è vero che Johann Auer osservava che, proprio riguardo all’antropologia, «sono pochi i campi in cui si veda con altrettanta chiarezza il ruolo decisivo svolto dal pensiero ebraico-cristiano rivelato».