Il Sole 24.9.15
Germania, la grande frode è un caso politico
Il ministro dei Trasporti tedesco Dobrindt (Csu) sotto accusa per l’interrogazione presentata a luglio dai Verdi
di Alessandro Merli
FRANCOFORTE Lo scandalo Volkswagen sta diventando uno scottante caso politico in Germania.
Il Governo federale è stato costretto ieri a smentire indiscrezioni di stampa secondo cui sarebbe stato al corrente della manipolazione delle emissioni dei motori diesel da parte della casa automobilistica di Wolfsburg ma la vicenda è destinata a creare non pochi grattacapi alla grande coalizione, mentre si è mossa per la prima volta la magistratura.
L’ufficio del procuratore di Braunschweig ha reso noto che sta valutando l’apertura di un’inchiesta formale che riguarderebbe i dipendenti della Volkswagen responsabili per le manipolazioni. Il ministro dei Trasporti, Alexander Dobrindt, ha inviato una commissione ministeriale d’indagine a Wolfsburg, dove anche la Volkswagen ha detto di voler avviare un’inchiesta affidata a esperti esterni. Ma è proprio Dobrindt, astro nascente dei cristiano-sociali bavaresi della Csu, finora noto soprattutto per avere dato del “falsario” al presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e per aver spinto per l’adozione di pedaggi autostradali da applicarsi solo agli stranieri, a trovarsi nel mirino dell’opposizione. Una sua risposta scritta, piuttosto fumosa, a un’interrogazione parlamentare dei Verdi lo scorso mese di luglio sulle discrepanze fra i risultati dei test sulle emissioni condotti in laboratorio e su strada, ha fatto sorgere il dubbio che il Governo sapesse degli interventi di Vw attraverso il software per alterare gli esiti. Anche nei giorni scorsi, al salone dell’auto di Francoforte, pressoché alla vigilia dello scoppio dello scandalo, esponenti dei Verdi avevano fatto riferimento alla questione, seppure senza nessuna indicazione di un coinvolgimento di Volkswagen.
Nella sua risposta, Dobrindt aveva poi rimandato all’azione della Commissione europea, che a sua volta sconta notevoli ritardi sulla materia e che ieri si è fatta sentire invitando tutti gli Stati membri dell’Unione europea a condurre indagini. Bruxelles si propone anche di coordinare le inchieste e favorire lo scambio di informazioni, una iniziativa piuttosto tardiva alla luce di quanto già emerso negli Stati Uniti.
Come sempre, il cancelliere Angela Merkel ha preferito mantenere inizialmente un basso profilo, limitandosi a sollecitare Volkswagen ad agire «il più rapidamente possibile» per ristabilire la fiducia. Il suo vice, e leader del partito socialdemocratico, Sigmar Gabriel, intervenendo a Francoforte ha definito quanto accaduto «inaccettabile» e suscettibile di creare «danni enormi». L’agenzia di rating Fitch, nel declassare a «negativa» la prospettiva del debito di Volkswagen, ha fatto riferimento proprio come fattore principale al «danno alla reputazione» della casa automobilistica che potrebbe pesare sul suo futuro.
I socialdemocratici sono del resto anch’essi in una posizione scomoda. È socialdemocratico il presidente del Land della Bassa Sassonia, Stephan Weil, che attraverso il 20% del capitale di Volkswagen può esercitare una notevole influenza negli affari del gruppo. E sono esponenti della Spd i due sindacalisti con un ruolo chiave nel consiglio di sorveglianza: Berthold Huber, già capo del potente sindacato dei metalmeccanici Ig Metall, che si è ritrovato dall’aprile scorso presidente a interim del consiglio di sorveglianza dopo l’estromissione di Ferdinand Piech, che fu sconfitto nel braccio di ferro con l’amministratore delegato Martin Winterkorn; e Bernd Osterloh, anche lui componente del presidium del consiglio di sorveglianza che ieri ha ricevuto, e probabilmente sollecitato, le dimissioni dello stesso Winterkorn. Del quale sia i sindacalisti, sia il governo regionale erano stati sostenitori nella faida con Piech, una posizione destinata ora a creare non poco imbarazzo.