giovedì 24 settembre 2015

Il Sole 24.9.15
I mali tedeschi
Quell’intreccio pericoloso tra politica e economia
di Alessandro Merli


Angela Merkel è un tipo cauto.
Fino alla paralisi decisionale, dicono i critici della cancelliera tedesca. La verità è che le è congeniale, da scienziatadi formazione, valutare i pro e i contro prima di pronunciarsi. E prima di muoversi, a volte con un passetto quasi impercettibile. Sono rari i casi in cui contraddice questo modus operandi: lo ha fatto per l’addio al nucleare dopo Fukushima e per l’apertura ai rifugiati nelle scorse settimane, due vicende di enorme impatto emotivo sull’opinione pubblica. In entrambi i casi, ha poi avuto modo di pentirsi di non aver soppesato fino in fondo le conseguenze, ma non per questo ha fatto marcia indietro.
Sullo scandalo Volkswagen, si è limitata per ora a una laconica battuta: bisogna muoversi «al più presto» per ristabilire la fiducia. Sa benissimo che non è uno scandalo come un altro, come quelli che pure i tedeschi, benché adoratori delle regole, non si fanno scrupolo di minimizzare e spazzare sotto il tappeto, dalla Deutsche Post alla Siemens, da quelli seriali della Deutsche Bank a quelli permanenti delle banche pubbliche.
Stavolta, c’è di mezzo il più grande gruppo industriale del Paese, l’emblema stesso del made in Germany. Un made in Germany che ha costruito nei decenni una immagine di affidabilità e competenza, immagine che, proprio per la posizione centrale di Volkswagen nel sistema, difficilmente non sarà scalfita dallo scandalo delle emissioni truccate. Anche se è stata costruita nei decenni, e dal lavoro eccellente di centinaia di imprese.
È questo che più di tutto preoccupa la signora Merkel: l'impatto non tanto sui conti, o sulla quotazione di Borsa di Volkswagen, ma il colpo inferto a una storia e a una reputazione non solo del gruppo di Wolfsburg, ma del resto dell'industria, e, diciamolo pure, del Paese, viste le implicazioni globali della vicenda. Per di più stiamo parlando della vacca sacra dell'industria e dell'oggetto che più di tutti sta nel cuore dei tedeschi: l'auto. Un settore per il quale il cancelliere non ha esitato a spendersi in prima persona, creando uno scontro europeo di non poco conto, nel 2013, proprio sulla questione delle emissioni. E del quale il principale lobbista è un ex politico di spicco, guarda caso del partito della signora Merkel. Un settore che peraltro dà lavoro a quasi 800mila persone e per il quale il capo del Governo sarà disposto a battersi ancora.
Quel che però la signora Merkel non ha detto, e probabilmente non dirà, e che non è uscito finora nel dibattito in Germania dopo la prima reazione esterrefatta a una vicenda fino a una settimana fa ritenuta impensabile, è che al cuore della vicenda, ma in fondo al cuore del sistema, c'è un intreccio fra politica ed economia che mina dal di dentro i totem di affidabilità e rispettabilità dell'industria e della società tedesca.
Le decisioni sbagliate alla Vw sono state prese dal management (“Non sono consapevole di aver fatto nulla di sbagliato”: il commiato dell'amministratore delegato, Martin Winterkorn, fa pensare al miglior Scajola), ma il ruolo del Governo locale e dei sindacati nella (mancata) sorveglianza è così importante, alla Volskwagen e in genere nelle imprese nazionali, da far pensare che troppo facilmente si possa scivolare nel sistema tedesco dalla cogestione al consociativismo alla connivenza. Lo scandalo Volkswagen è il più clamoroso, ma l'esempio più deteriore sono le malefatte del sistema delle banche pubbliche, dove la commistione fra politica e affari è incancrenita da decenni, e che si susseguono senza che nessuno si sia stracciato le vesti. Anzi, la politica tedesca ha fatto di tutto perché l'Europa, nella veste della nuova vigilanza della Banca centrale europea, non ci mettesse il naso.
Questo consociativismo ha alzato la soglia di tolleranza per una serie di comportamenti che in Germania si appare disposti ad accettare e anche a coprire fin quando il bubbone non viene a galla. Ma per un colosso come Volkswagen c'è stato bisogno dell'intervento delle autorità americane.
In Germania, poi, l'estrema riluttanza ad ammettere i propri errori si concilia male con la facilità a far la morale sulle colpe altrui, tante volte esercitata in Europa. Difficile dire oggi se lo scandalo Volkswagen lascerà il segno sulla psicologia nazionale.