domenica 20 settembre 2015

Il Sole 20.9.15
Se solo la Grecia avesse fatto come la Polonia...
di Paul Krugman


Gli economisti Yannis Ioannides e Christopher Pissarides, in un nuovo Brookings Paper, parlano di come la mancanza di riforme strutturali abbia penalizzato la produttività e la competitività in Grecia (potete leggerlo qui: brook.gs/1NuU7nt). Non ho motivo di dubitare che ci siano cose importanti che dovrebbero cambiare, e che la Grecia sarebbe in condizioni molto migliori se riuscisse, in qualche modo, a superare gli ostacoli politici che le impediscono di farlo. Ma a mio parere è sbagliato, fortemente sbagliato, evidenziare fattori che limitano la produttività in Grecia e poi sostenere che quei fattori sono la «causa» della crisi greca. Una produttività bassa impone un dazio a qualsiasi economia, ma normalmente non crea una crisi finanziaria e una colossale depressione deflazionistica. Proviamo per esempio a fare un confronto tra la Grecia e la Polonia, che come la Grecia è situata alla periferia dell’Europa ma è strettamente legata al resto dell’economia continentale. La Polonia è anche un Paese con una produttività relativamente bassa rispetto ai parametri dell’Europa nordoccidentale. Ma non ha avuto una crisi in stile greco, anzi non ha proprio avuto crisi ed è filata a vele spiegate durante le turbolenze
degli ultimi anni.
Qual è la differenza? La principale è sicuramente l’euro. Adottando la moneta unica, la Grecia inizialmente ha attirato imponenti afflussi di capitali: poi si è trovata in una trappola, impossibilitata a realizzare la necessaria svalutazione reale senza passare per una deflazione dai costi smisurati.
Ogni volta che qualcuno afferma che i problemi della Grecia in realtà sono sul versante dell’offerta, dovete chiedervi non se il Paese abbia problemi di offerta – ce li ha – ma per quale motivo questi problemi dovrebbero condurre al collasso. La Grecia, a quanto sembra, ha circa il 60% della produttività della Germania, il che significa che dovrebbe avere dei salari reali non superiori al 60% circa di quelli tedeschi: non che dovrebbe avere una disoccupazione al 25 per cento.
(Traduzione di Fabio Galimberti)