domenica 20 settembre 2015

Il Sole 20.9.15
Borse ai test elettorali del Sud Europa
Analisti divisi sui rischi delle elezioni nei «Piigs»: cautela su Atene, timori sul voto di Barcellona- Il clou è Madrid a novembre
di Vittorio Carlini


La Fed, almeno per il momento, è alle spalle. Adesso i mercati sono «liberi» di tornare a guardare altri attori. Altre variabili. Si dirà, in sintonia con diversi esperti, i focus restano quelli: il rallentamento della Cina; oppure la crisi degli emergenti.
In realtà, a leggere i fondi di caffè delle Borse, gli investitori hanno nel radar anche altri fattori. In particolare, la politica e le tornate elettorali nell’Europa mediterranea: dal voto di oggi ad Atene fino alle elezioni generali spagnole in novembre.
Il test in Spagna
Lariprova? La offre proprio l’andamento dello spread Spagna-Italia. A inizio 2015 la differenza tra il rendimento del decennale iberico e il Btp era negativa per circa 29 punti base. Nel corso dell’anno, però, la situazione si è capovolta. In avvio di luglio l’indicatore è tornato positivo. Per poi, l’11 settembre scorso, arrivare al valore massimo di 28 basis point. Cioè: da una parte il titolo di Stato spagnolo, via via venduto, ha visto il rendimento salire; e, dall’altra, quello italiano (oggetto di acquisti) è arrivato ad avere un tasso inferiore al Bonos. Il che pare un controsenso. I bond governativi, soprattutto il decennale, riflettono anche, e soprattutto, i fondamentali di un Paese. Ebbene: il Prodotto interno lordo di Madrid, nel secondo trimestre rispetto al primo, è salito dell’1% (quello di Roma dello 0,2%). Il rapporto debito/Pil è al 97,7% (in Italia oltre il 132%).
Certo, Madrid soffre di deflazione e la disoccupazione è più alta. Tuttavia, il maggiore rendimento non si giustifica. «A meno che – dice Antonio Cesarano di Mps Capital services – non si consideri il dividendo politico. Vale a dire: la possibile avanzata di forze anti austerity, quale Podemos, induce il creditore a chiedere un maggiore premio al rischio».
Già, il rischio. Ma quali gli appuntamenti in Spagna cui il mercato guarda con attenzione? Il primo, certamente, è costituito dalle elezioni regionali in Catalogna del 27 settembre. Qui, ricorda Royal Bank of Scotland (Rbs) nel report «The Silver Bullet», il fronte dei separatisti potrebbe raggiungere la maggioranza dei voti. Il che, se dall’angolo visuale dell’indipendenza da Madrid non è condizione risolutiva, può certamente infastidire i mercati, portando volatilità. La Catalogna, infatti, vale circa il 20% dell’intero Pil spagnolo. Una produzione di ricchezza fondamentale per le entrate fiscali del governo centrale. Nel caso in cui, come paventato da diversi candidati, salisse la tensione rispetto al pagamento delle tasse i titoli governativi ne subirebbero le conseguenze. Seppure l’impatto, a fronte dell’ombrello protettivo del Qe della Bce, potrebbe rivelarsi contenuto. «A ben vedere - dice il trader Luca Barillaro - è l’azionario», guarda caso da inizio anno tra i peggiori d’Europa (-4,21% per l’Ibex), «a rischiare di più. Nel mirino, in particolare, ci sarebbero i titoli finanziari». Le banche, alcune delle quali esposte ad un’America Latina in difficoltà, potrebbero essere oggetto di vendite.
Ma non è solamente la Catalogna. L’appuntamento clou resta il voto generale di novembre. In questo caso la variabile dirimente è costituita da Podemos. Certo, nonostante l’elezione di Jeremy Corbyn a leader del partito laburista inglese, in Europa i movimento anti-austerity hanno perso d’appeal. Soprattutto dopo la conversione di Alexis Tsipras alla realpolitik. E, tuttavia, per Ubs una coalizione tra Socialisti e Podemos indurrebbe l’allargamento degli spread spagnoli (e non solo), oltre alla volatilità sull’azionario. Al contrario, sempre evidentemente con l’occhio dei mercati, un Governo in continuità con l’attuale (Partito Popolare più «Ciudadanos») darebbe meno da pensare alle Borse.
Il caso portoghese
Dalla Spagna al Portogallo. Si tratta dell’evento (elezioni politiche il 4 ottobre) che pare interessare meno gli operatori. Lisbona, messo alle spalle il programma di bailout (2011-2014) con Bruxelles e Fmi, nel secondo trimestre del 2015 ha visto il Pil salire dello 0,4%. Una ripresa economica, unita al miglioramento finanziario, che non a caso è fotografata dal listino locale: da inizio anno il Psi sale del 9,2%. Al di là della performance di Borsa, «il miglioramento della situazione - dice Barillaro -, insieme al fatto che si tratta di un Paese economicamente non così rilevante, induce comunque a non ipotizzare grandi sconvoglimenti sui mercati».
La telenovela ellenica
Un po’ quello che, secondo gli esperti, dovrebbe accadere nella stessa Grecia. Com’ è noto oggi si vota ad Atene. Pochi mesi fa un simile appuntamento avrebbe mandato in cortocircuito gli investitori. «Ora, invece- dice Serge Escudè dell’ufficio Ricerca e Investimenti di Cassa Lombarda-, non si tratta di un vero market mover. Almeno nell’immediato. I sondaggi sono incerti ma non è più in gioco la “Grexit”». Gli operatori, dopo l’accordo in luglio tra creditori e l’Esecutivo guidato da Tsipras, vedono in nessuna delle due fazioni (Syriza e Nuova democrazia) la causa scatenante di nervosismo su bond o azioni. «Il vero tema - aggiunge Escudè - è che, nel medio periodo, la realizzazione delle riforme, legate all’accordo, possa rallentare». Un’ipotesi, fa da eco Rbs nel suo report, che rimanderebbe la discussione sull’estensione della durata del debito greco e il taglio sugli interessi. Il che è un problema serio. Tutti sanno che l’attuale indebitamento di Atene non è sostenibile. Non mettere mano alla sua ridefinizione è follia. Vorrebbe dire continuare a somministrare quella stessa medicina che, seppure ha funzionato in Portogallo, in Grecia ha creato più guai che vantaggi.
Ciò detto, gli investitori attendono serenamente l’apertura di domani dei mercati? In questo periodo, considerando peraltro a Piazza Affari lo stacco delle cedole di Eni e St, gli operatori non azzardano previsioni. Si trincerano dietro una parolina «magica»: volatilità.