Il Sole 19.9.15
Protagonisti e strategie nella partita del Senato
di Montesquieu
Giunti a questo punto, alla vigilia delle giornate in cui si capirà se la marcia dei protagonisti della discussione sul nuovo Senato arriverà a una confluenza, come si richiede ad un procedimento legislativo, è forse utile osservare retrospettivamente i comportamenti dei singoli protagonisti.
Partendo, per un doveroso omaggio alla funzione ed alla sede, dal “ padrone di casa”, il presidente del Senato. Al presidente del Senato piacciono, evidentemente, i finali con suspense: non si deve sapere fino all’ultimo istante come affronterà e deciderà sulla vexata quaestio della emendabilità di un articolo già votato dalle due camere in identico testo. Situazione che dovrebbe dare almeno una certezza, quella dell’inemendabilità: se non fosse che a ben guardare una (piccola?) differenza c’è tra i due testi. Possibile che il presidente del Senato, unico dominus della situazione, non conosca la decisione che prenderà? Sarebbe strano, e si stenta a capire il perché del prolungarsi di una tensione – e quale tensione – non necessaria, il motivo di un finale a sorpresa. Quanta parte di questa tensione è dovuta a questo inutile mistero? Costruita ad arte, in un procedimento di per sé ingarbugliato, agitato da possibili rotture interne e tra i partiti, e nel quale non è possibile tracciare nemmeno i confini tra maggioranza e opposizione. Il tutto sull’orlo di una crisi di governo sempre possibile, e dalle conseguenze impreviste. Buona parte dei partiti, ad eccezione del granitico – nello stare a guardare – Movimento 5 Stelle, hanno infatti un pezzo dentro e una parte fuori della maggioranza.
Forse per “ stanare” ( termine non parlamentare) il vertice dell’assemblea, il presidente della commissione Affari costituzionali ne prende di fatto le veci, butta il testo con tutte le sue questioni – non complicate ma politicamente intricate – dalla sede della propria competenza direttamente all’aula , facendo intendere come si risolva il problema. Collaborazione da mettere a punto, quella tra i due, con qualche difetto di terzietà e un sovrappiù di politica. E un pizzico di personalismo. Protagonista assoluto fuori e dentro le camere (nulla di istituzionalmente scandaloso, qualche sbavatura nelle forme), il capo del governo. Partito con un lodevole intento unificante, si ritrova con un esercito in cui non si distinguono maggioranza e opposizione. Non per sua colpa, si dirà, ed è così. Ma la disinvoltura di certe pratiche di mobilità parlamentare non veniva perdonata ad un suo predecessore. E, a riforma approvata, sarà meglio non voltarsi indietro per rimirare il nuovo “arco costituzionale”. Ma per trasformare una vicenda così importante e delicata in una riforma costituzionale compiuta, non si deve temere che un compromesso sembri una sconfitta. Tante ragioni, tra queste non la pretesa di uscirne “ vincitore”( altro termine non elegante, nel linguaggio delle camere) anche non disponendo di una maggioranza.
?A complicare le cose, la difficoltà di capire quanto ci sia di battaglia parlamentare e quanto di sfida politica nella condotta parascissionistica della minoranza del partito democratico, che non cesserà con questa battaglia legislativa. E viceversa.
Perché anche il capo del governo non sembra scosso dalla virulenza della sfida: chi dei due – Renzi ( e la maggioranza ) o Bersani (per dirne uno) – sarebbe più dispiaciuto da una rottura?
Tanti protagonisti, ma anche un comprimario, il piccolo Nuovo centrodestra , portatore di una curiosa posizione: per votare una legge, chiede di cambiarne un’altra, quella elettorale appena approvata.
Dei due arbitri possibili – Capo dello Stato in carica e suo predecessore, per esperienza nella funzione – il secondo si è schierato, e non lievemente. Resta Sergio Mattarella, l’unico a decidere in caso di patatrac. Lui, non altri, almeno a Costituzione (in questo caso fortunatamente) vigente. Che farebbe? Nessuno, per rispetto, dovrebbe interpretarne (o peggio anticiparne) le mosse. Nemmeno i soliti, mai quiescenti , “ambienti del Colle” (altro termine non istituzionale): alla competente riservatezza del Capo dello Stato ed all’autorevolezza delle sue decisioni non giovano approssimative previsioni e indiscrezioni.