giovedì 10 settembre 2015

Il Sole 10.9.15
Un obbligo condividere gli oneri di accoglienza
di Giorgio Barba Navaretti


I sei miliardi stanziati dal governo tedesco per sostenere le centinaia di migliaia di migranti sul proprio territorio infilano la lama gelida della logica economica nel dramma dei rifugiati. Lama che, per quanto brutale, chiarisce come la politica d’asilo della Ue sia una questione collettiva, che riguarda tutti i Paesi, generosi o riluttanti, come ribadito ieri da Jean-Claude Juncker al Parlamento europeo.
In termini economici la concessione dell’asilo da parte di un Paese può essere considerata come un “bene pubblico”, come sostiene molto lucidamente l’economista australiano Tim Hatton, uno dei maggiori studiosi mondiali di migrazioni. Cosa significa? Gli emigrati tradizionali, ossia coloro che lasciano il proprio Paese alla ricerca di un miglior destino economico, apportano dei benefici quantificabili a favore di categorie precise di soggetti nel Paese di destinazione: la famiglia a cui si ricongiungono; le aziende che utilizzano i loro servizi e in cambio pagano loro uno stipendio. Generano benefici privati remunerati affettivamente o monetariamente da chi li utilizza.
I rifugiati, i richiedenti asilo, invece, in principio non apportano benefici materiali, bensì etici o spirituali a chi li accoglie: l’accoglienza permette di soddisfare motivazioni umanitarie. Vi sembrerà un concetto astratto, ma l’empatia verso i rifugiati è l’ingrediente fondamentale che ha permesso di superare la preoccupazione, anche corretta, di cittadini e politici europei sull’impatto di questo esodo biblico. La Cancelliera Merkel, quando sostiene che l’accoglienza è un atto dovuto per essere coerenti con i valori dell’Europa, fa un ragionamento etico.
A fronte di questo beneficio etico ci sono i costi dell’accoglienza, appunto i miliardi di euro che la Germania e gli altri Paesi di ricezione mettono sul piatto. Senonché i miliardi tedeschi tolgono dalle spalle di tutti i Paesi riluttanti l’imperativo morale dell’accoglienza. In questo senso l’asilo è un bene pubblico: i suoi benefici non sono limitati a chi ne sostiene i costi, ad alleviare la coscienza dei contribuenti tedeschi. Anche la coscienza dei contribuenti polacchi, inglesi e di tutti gli altri Paesi riluttanti e poco generosi beneficia a costo zero della generosità tedesca.
Per quanto i politici che flirtano più o meno esplicitamente con la xenofobia se ne possano fare un baffo dell’imperativo morale, fintanto che i loro Paesi sono parte della casa comune europea la coerenza con i valori dell’Unione è un obbligo per tutti.
Per questo motivo non è giusto che chi genera il beneficio morale dell’accoglienza all’Unione ne paghi tutti i costi materiali. Altrimenti, come insegna la teoria dei beni pubblici, tutti i Paesi vorranno assumersi meno rifugiati del necessario. Il così detto “burden sharing”, la condivisione degli oneri, deve dunque essere un ingrediente fondamentale di qualsiasi politica di asilo europea.
Inoltre, il numero complessivo dei richiedenti asilo che arriva in Europa nelle condizioni attuali di instabilità non è controllabile, ossia non è una variabile che possa essere stabilita a priori dai governi europei, neppure con il necessario rafforzamento di Frontex. I governi possono solo scegliere come dividersi i richiedenti asilo. Dunque chi accoglie, genera anche un beneficio materiale, non solo morale, ai Paesi che non lo fanno. Altro motivo, per cui anche i Paesi riluttanti devono contribuire a sostenere i costi di questa operazione.
La lama gelida dell’economia, spiega dunque perché il meccanismo di quote di accoglienza proposto da Juncker, per ora per 160mila rifugiati, sia obbligatorio per i Paesi membri o debba prevedere un principio di compensazione economica da parte dei Paesi contrari ad aderire al programma.
Superata questa fase di emergenza la logica economica ci ricorderà ancora che gli immigrati sono una ricchezza fondamentale, non solo un costo, soprattutto per economie ad invecchiamento rapido ed inesorabile come la nostra. Anche per i richiedenti asilo di oggi, molti con un buon livello di istruzione, bisognerà rapidamente chiedersi come inserirli nel mercato del lavoro. Ha fatto molto bene dunque la Commissione a prevedere che i richiedenti asilo possano lavorare mentre il loro dossier viene esaminato. Ma il vero e inesorabile traguardo sarà una politica comune per tutti i Paesi dell’Unione che riguardi non solo l’asilo ma anche la migrazione economica.