domenica 6 settembre 2015

il manifesto 6.9.15
Renzi a Cernobbio con lo scalpo dell’articolo 18
Storytelling. Renzi. Show su Jobs Act, Imu, Pil, occupazione e minoranza Pd. Il think tank prodiano Nomisma: "Lo sgravio dell’Imu sarà di 17 euro e premierà le famiglie abbienti"
Il presidente del consiglio Matteo Renzi al workshop Ambrosetti a Cernobbio
di Roberto Ciccarelli

Al workshop Ambrosetti di Cernobbio ieri Renzi è arrivato in elicottero con lo scalpo dell’articolo 18 e ha riscosso il plauso di Gian Maria Gros Pietro (Intesa San Paolo) e Federico Ghizzoni (Unicredit) per l’«intervento energico» «che ha «conquistato la platea». Dopo una grandinata durata mezz’ora, la rentrée settembrina è girata al bello. Davanti ad una platea congeniale alla sua epica ciclistica («l’Italia è come il ciclista caduto, rientrato nel gruppo di testa, alla ricerca della maglia rosa»), Renzi ha fatto l’occhiolino alla classe che ha sottoscritto il 22 agosto una pubblicità a pagamento sul Corriere della Sera. Leggerlo oggi, confrontandolo con il rosario di cose fatte e rivendicazioni snocciolato ieri a Cernobbio conferma la coerenza dello «story-telling» di Palazzo Chigi. Le veline sono le stesse.
Partiamo dai dati fatali sull’occupazione e il Pil. Da quando l’Istat ha rivisto al rialzo il Pil annuo (+0,6%) e attestato la crescita degli occupati (+0,8%), Renzi sprizza di gioia. «Siamo al Governo da 18 mesi , i numeri di oggi ci dicono che abbiamo avuto un aumento dei posti di lavoro 236mila unità – ha detto — L’italia ha perso 927mila posti di lavoro durante la crisi: un recupero del 25% che non è sufficiente ma è un dato di fatto che i numeri dicano questo e che la zona dove si recuperano posti di lavoro è il mezzogiorno». È come paragonare le mele con le pere. Il dato sui posti perduti dall’inizio della crisi è diverso da quello attuale. In più i nuovi posti di lavoro sono trainati dagli ultracinquantenni (+5,8%), trattenuti al lavoro dall’inasprimento dei requisiti imposti dalla riforma Fornero a dispetto dei più giovani dall’età compresa tra i 15 e i 34 anni (-2,2%) e 35–49 anni (-1,1%). A questa si aggiunge la disuguaglianza territoriale: sebbene a livello nazionale il tasso di disoccupazione sia sceso al 12,1% (a giugno era al 12,5, ai minimi dal 2013), mentre quello di occupazione è salito al 56,3% (+0,1% sul mese e +0,7% sull’anno), a Sud la disoccupazione resta stabile al 20,2% mentre al Nord del 7,9%. Dai dati Istat evocati a Cernobbio risulta che la crescita non produce occupazione stabile [jobless recovery], la disoccupazione generale resta stabile e riguarda 3 milioni e 100 mila individui.
Sullo sbandierato aumento di 44 mila occupati in un mese e 235 mila in un anno (per ora) hanno influito soprattutto i contratti a termine (+3,3%), il part-time involontario (sette casi su dieci) e solo in minima parte i dipendenti a tempo indeterminato (+0,7%) sostenuti dagli ingenti esoneri contributivi previsti a corredo del Jobs Act. Un dato assai modesto, e in flessione da giugno, che conferma un aspetto culturale decisivo del governo Renzi, interessato al lavoro dipendente – e non alle partite Iva — e a premiare l’impresa con sussidi a pioggia. Quella che lo ha applaudito ieri a Cernobbio quando ha ascoltato dal premier «l’articolo 18 non c’è più, l’Italia ha cambiato pagina».
Peccato non avere detto che, da almeno cinque anni, il boom del lavoro a termine ha negato alla maggioranza dei nuovi assunti questo beneficio. In compenso, uno dei decreti attuati del Jobs Act impone a questi assunti controlli a distanza, da oggi potranno essere spiati attraverso pc, tablet, telefoni, videocamere.
Dopo qualche battuta, applaudita, contro la minoranza Pd, lo show ha puntato sull’abolizione di Imu e Tasi nel 2016, taglio dell’Ires nel 2017 e poi l’irpef nel 2018. è la ricetta forte per l’autunno e Renzi ha puntato tutte le sue fiches. Dopo la Corte dei Conti, la Cgil, ieri il think tank prodiano Nomisma – calcoli alla mano – ha bocciato lo sfavillante progetto: la cancellazione della tassa sulla prima casa «non persegue obiettivi di redistribuzione del carico fiscale nel senso di una maggiore equità». Il taglio dell’Imu darebbe uno stimolo modesto al mercato (inferiore all’1%), le famiglie proprietarie avrebbero uno sgravio di 17 euro e a beneficiarne sarebbero quelle «con disponibilità reddituali elevate». «Appare alquanto faticoso individuare la linea di politica economica che si intende perseguire». Che gufi, quelli di Nomisma.

il manifesto 6.9.15
La nuova strategia tedesca e la perdente chiusura ideologica sui rifugiati
Crisi dei profughi. Qualcosa si muove (ma ci voleva la morte di Aylan) anche nelle mentalità: manifestazioni in Francia a favore dell'accoglienza. Una chance per la sinistra, che può rompere l'egemonia culturale dell'estrema destra. Una conseguenza rischiosa: la Francia potrebbe decidere di intervenire con i Mirage in Siria, a fianco di Usa, Gran Bretagna e Canada
di Anna Maria Merlo

PARIGI C’è fretta di prendere decisioni e dalla Germania il vice-cancelliere, Sigmar Gabriel, approva la proposta del primo ministro austriaco, Werner Faymann, che vuole tagliare i fondi ai paesi recalcitranti della Ue che rifiutano le quote: «Penso che il cancelliere austriaco abbia assolutamente ragione quando dice che i soldi devono cessare di circolare se non arriviamo a una politica comune sui rifugiati». I paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca), che hanno il chiaro appoggio dei Baltici, sono ormai sotto pressione.
L’Europa socchiude la porta, permette solo ai rifugiati da zone di guerre di mettersi in coda e ribadisce che respingerà con determinazione tutti coloro che pretendono di entrare provenendo da «paesi sicuri». Ma qualcosa si sta muovendo, dopo mesi di blocco.
I cittadini europei cominciano a muoversi, come se il muro ideologico dietro il quale in cui si erano volontariamente chiusi, stesse anch’esso aprendo delle brecce.
Ieri, in Francia – dove un sondaggio (fatto però prima della foto di Aylan che ha scosso le coscienze) dice che il 52% non vuole profughi – ci sono state varie manifestazioni a favore dell’accoglienza. A Parigi (con la bandiera siriana sulle statue a place de la République), Tolosa, Bordeaux, Montpellier, Nantes, Strasburgo dei cittadini sono scesi in piazza per chiedere un cambiamento di politica, «welcome», «aprite le frontiere».
Migliaia di persone hanno risposto agli appelli delle organizzazioni umanitarie, pronti ad accogliere dei profughi a casa, per qualche giorno o settimana. Jean-Claude Mas, segretario generale della Cimade, spera: «forse ci sono le condizioni emotive e politiche per un elettrochoc».
In altri termini, una breccia sembra essersi aperta nell’egemonia ideologica dell’estrema destra, che sembrava aver preso i sopravvento. I Repubblicani, il partito di Sarkozy, si arrocca sulla linea dura, accusa Hollande di «voltafaccia» per aver accettato il «meccanismo di redistribuzione», cioè le quote, mostra un volto triste ma già alcuni (persino François Fillon) cominciano a prendere le distanze da una posizione che non fa che ricalcare quella del Fronte nazionale, nel frattempo riunito per la sua Università d’estate, impantanato nella querelle famigliare dei Le Pen. Il primo ministro, Manuel Valls, riprende qualche colore respingendo tutta la destra in un «blocco reazionario».
La sinistra sembra respirare di nuovo un po’. Il Ps organizza martedì un «grande meeting» a Parigi «in sostegno della città solidali con i rifugiati», che offrono ospitalità. Martedì ci sarà un’altra manifestazione della sinistra per il diritto d’asilo.
Sono dei primi segnali. La legislazione della Ue permette la protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di persone che chiedono asilo. Il governo francese potrebbe trovare qui la possibilità di recuperare nel proprio elettorato, più che deluso dalle scelte di politica economica, non distinguibili da quelle della destra. In Austria e in Germania dei cittadini hanno mostrato solidarietà, come mai nel recente passato.
A Lussemburgo, i ministri degli esteri, in una riunione che Mrs.Pesc Federica Mogherini ha definito «difficile», hanno cercato di trovare una soluzione per la redistribuzione dei rifugiati. Il clima è stato «pesante», riassume un diplomatico. La spaccatura tra est e ovest dell’Europa resta, il gruppo di Visegrad, in un lungo comunicato, la vigilia ha rifiutato quote e solidarietà.
La crisi dei rifugiati potrebbe però portare anche a decisioni estremamente rischiose.
Se ne saprà di più domani, alla conferenza stampa di François Hollande, ma secondo Le Monde la Francia si prepara a intervenire in Siria.
Finora, l’aviazione francese era solo presente nei cieli dell’Iraq e in Siria forniva un modesto sostegno ai democratici, contro Isis e contro Assad. Ma, da ottobre, i Mirage 2000 potrebbero partecipare a missioni in Siria, a fianco degli Usa, Gran Bretagna e Canada, che già intervengono in quell’area.

il manifesto 6.9.15
Syriza scavalcata a destra nei sondaggi
La Grecia verso il voto. Tre diversi istituti demoscopici danno sostanzialmente un testa a testa tra il partito di Tsipras e Nuova democrazia. L’ex premier resta al momento il più quotato, ma il nodo di fondo saranno le alleanze
di Teodoro Andreadis Synghellakis

Quella che sembra profilarsi, in Grecia, è una lotta all’ultimo voto. Due sondaggi resi noti a ventiquattro ore di distanza, danno un’immagine di estrema incertezza, con una sfida ancora tutta aperta.
Secondo la società demoscopica Pulse, a Syriza va il 25,5% delle intenzioni di voto, mentre il centrodestra di Nuova Democrazia è al 25%. Seguono, a grande distanza, i neonazisti di Alba Dorata, con il 6%, e i socialisti del Pasok, alleati del piccolo partito Sinistra Democratica, con il 5,5%. Per la società demoscopica Gpo, invece, sono i conservatori di Nuova democrazia ad avere un leggerissimo vantaggio, dello 0,3%. Il centrodestra, quindi, sarebbe al 25,3%, il partito di Alexis Tsipras al 25%, Alba Dorata al 5,5% e il Pasok al 5,3%.
In tutti e due i casi Tsipras prevale sul rivale conservatore Vanghèlis Meimaràkis: il 36% del campione statistico della società Pulse è convinto che sia il più adatto a governare, mentre il 33% sceglie Meimaràkis. E anche nel sondaggio della Gpo, alla domanda «chi pensate che possa gestire meglio il memorandum firmato con i creditori?» il 28,8% indica Tsipras, mentre il presidente di Nuova democrazia si ferma al 27,1%.
Un terzo sondaggio, poi, della società Mrb, dà i due maggiori partiti in assoluta parità, con il 25,1% delle intenzioni di voto.
È chiaro che in queste due settimane di campagna elettorale, prima che si torni alle urne, Syriza punterà sul carisma del suo leader, molto più forte di quello del suo diretto concorrente, che ha sostituito l’ex primo ministro Andònis Samaràs dopo la sconfitta di gennaio. Ma è altrettanto palese che la coalizione della Sinistra radicale greca dovrà saper far valere efficacemente le proprie ragioni.
È stato fissato, nel frattempo, il dibattito televisivo con la partecipazione di tutti i leader politici: si svolgerà il 9 settembre, lasciando fuori il neonazista Nikos Michaloliàkos. Farà da moderatore un giornalista della televisione pubblica Ert, mentre potranno porre una serie di domande sull’economia, l’immigrazione, le politiche sociali e l’istruzione, sei giornalisti di altrettante reti private. Il 14 settembre si confronteranno in un faccia a facca, sempre negli studi della Ert, Tsipras e Meimaràkis.
L’ ex portavoce del governo della sinistra, Olga Jerovassìli, ha ribadito che «Syriza collaborerà solo con forze politiche che vogliono contrastare l’austerità dei memorandum». Il messaggio è abbastanza chiaro: non ci sono possibilità di arrivare ad intese con la destra, mentre, a quanto sembra, potrebbe crearsi qualche spiraglio per tornare a trattare, dopo le elezioni, con i venticinque ex deputati di Syriza che hanno voluto aderire a “Unità popolare” di Panajotis Lafazànis. E lo stesso Tsipras non esclude una coalizione con i socialisti del Pasok, ma «solo se questo partito si libererà veramente dalle zavorre del passato». Il leader quarantunenne della sinistra greca si riferisce, innanzitutto, come sottolineano molti analisti, all’ex vice primo ministro Evanghelos Venizelos, il quale ha cogestito, col centrodestra, gran parte delle politiche di austerity.
Per ora, dal Pasok la risposta è piccata: «È bene che Tsipras di occupi delle sue zavorre», hanno commentato molti esponenti socialisti, lasciando anche filtrare che ritengono necessario puntare ad un governo di larghe intese con i vecchi alleati di Nuova democrazia. Ma dopo la chiusura dei seggi, le distanze con Syriza potrebbero notevolmente accorciarsi.
Nello stesso momento in cui si inizia a parlare di un possibile riavvicinamento tra Syriza e il centrosinistra socialista, nello schieramento opposto sono iniziati i contatti tra Nuova democrazia e la formazione centrista del Fiume, guidata dal giornalista Stavros Theodorakis. Dopo le dimissioni di Samaràs, Nuova democrazia sta cercando di provare a ricostruire una facciata più moderata, ed una collaborazione con il Fiume, che non ha mai fatto mistero di vedere positivamente tutta una serie di cosiddette “riforme” (dalle privatizzazioni al superamento dei contratti collettivi di lavoro) non dovrebbe incontrare particolari ostacoli.
Tsipras, però, che, ad Atene, ha già parlato ai suoi sostenitori nei quartieri popolari di Egàleo e Kesarianì, mette nuovamente l’accento sull’importanza di questo voto, e sulle sue conseguenze: «Volete scegliere il centrodestra e i suoi alleati, che hanno spinto il nostro paese nel fosso, o Syriza, che ha dato l’anima, sino a sanguinare, proprio per cercare di far uscire la Grecia dal fosso?», ha chiesto il leader della sinistra greca. Si è nuovamente impegnato a difendere i diritti dei giovani, dei pensionati al minimo, degli agricoltori e dei disoccupati.
Syriza, infine, riguardo al programma elettorale elaborato lo scorso anno a Salonicco, valuta che sia stato applicato più del 50% dei suoi punti fondamentali (sostegno ai redditi minimi, cento rate mensili per saldare i debiti con lo Stato, riapertura della tv pubblica, cittadinanza ai figli degli immigrati) e si impegna a tornare a governare nel rispetto dei valori e delle priorità della sinistra.

il manifesto 6.9.15
Varoufakis a Cernobbio: «In Europa Atene schiacciata nella guerra Parigi-Berlino»

«La Grecia e la nostra democrazia sono state schiacciate da un elefante», dice Yanis Varoufakis alla platea di economisti, manager e banchieri riuniti a Cernobbio. L’ex ministro greco, “marxista erratico”, è intervenuto al workshop Ambrosetti in mattinata. Al centro del suo discorso, oltre alla vicenda greca, il destino dell’euro, che — dice — non può essere «il pacemaker dell’unione politica europea». «Dev’essere una moneta basata sul gold standard o una moneta sovrana? Se opti per la prima, servono regole rigide e l’uscita è la sola alternativa alla recessione permanente una volta che entri in deflazione. Una moneta sovrana ha bisogno di un’unione fiscale politcamente governata». «L’indecisione resta. Abbiamo uno scontro drammatico, tra Parigi e Berlino, su quale forma l’unione politica dovrebbe prendere». Quanto a Tsipras ripete che è stato forzato ad accettare un programma che tutti ritengono irrealizzabile.

il manifesto 6.9.15
Mordechai Vanunu in tv, il nucleare segreto di Israele in prima serata
Bombe atomiche. Venerdì sera su "Canale 2" l'ex tecnico della centrale di Dimona, che nel 1986 rivelò al "Sunday Times" i segreti del nucleare israeliano, dopo 29 anni ha potuto di nuovo denunciare pubblicamente i pericoli legati alle armi di distruzione di massa in possesso del suo Paese
Perchè governo e servizi segreti lo hanno lasciato parlare?
di Michele Giorgio

GERUSALEMME È facile incontrare casualmente Mordechai Vanunu per le strade di Gerusalemme Est, la zona palestinese della città, dove l’ex tecnico della centrale di Dimona vive da quando fu liberato nel 2004, dopo 18 anni trascorsi nella prigione di Shikma (11 dei quali in isolamento totale), per aver rivelato nel 1986 i segreti dell’atomica israeliana al giornale britannico Sunday Times. L’ultima volta è stata il mese scorso, dalle parti di via Salah Edin. «Hello» (Vanunu dal 1986 si esprime solo in inglese, non usa più l’ebraico), qualche battuta veloce sulle cose che cerca di fare, sul suo desiderio di abbandonare Israele, un sorriso sobrio a commento del suo recente matrimonio con una docente universitaria norvegese, Kristin Joachimsen, e un «goodbye». Tutto qui. In pubblico si comporta così con tutti. Vanunu — che per i servizi segreti israeliani resta detentore di importanti segreti di stato, anche se vecchi di 30 anni — non può parlare ai cittadini stranieri, in particolare ai giornalisti. È una delle tante restrizioni stabilite dai giudici al momento della scarcerazione. Non può riferire particolari, anche agli israeliani, del lavoro che svolgeva Dimona. Violando queste disposizioni il tecnico nucleare si espone all’arresto e alla detenzione, anche per mesi. Gli stranieri invece all’espulsione immediata da Israele. Per questo motivo ha fatto scalpore l’intervista con l’ex tecnico nucleare di Dimona trasmessa venerdì in prima serata dalla rete televisiva israeliana Canale 2.
È stato un evento eccezionale. Nonostante domande e risposte non siano sempre andate sugli aspetti più interessanti delle rivelazioni fatte 30 anni fa da Vanunu — le finalità della produzione di plutonio per ordigni atomici nella centrale di Dimona -, l’uomo che gran parte del Paese considera un “traditore” ha potuto ugualmente parlare del programma atomico segreto israeliano e condannarlo. Israele non ha firmato il Trattato di non-proliferazione nucleare e non ha mai ammesso (e neanche smentito) di possedere bombe atomiche (tra 100 e 200 secondo esperti internazionali). Da decenni Israele mantiene la cosiddetta «ambiguità nucleare». L’interrogativo perciò è d’obbligo. Perchè i servizi segreti e il governo hanno dato il via libera all’intervista in un momento delicato, in cui il premier Netanyahu è impegnato in uno scontro accesso con gli alleati americani per il via libera che è stato dato a Vienna al programma atomico dell’Iran? Il racconto di Vanunu a Canale 2 in apparenza è controproducente per gli interessi israeliani. Forse Netanyahu, lasciando parlare il “traditore”, ha voluto mandare un messaggio all’esterno. Ad esempio avvertire Tehran di non dimenticare che Israele le bombe le possiede già e potrebbe usarle se necessario. Ma le spiegazioni probabilmente sono più di una.
Vanunu venerdì sera ha raccontato il processo graduale che lo portò nei nove anni di lavoro a Dimona alla decisione, anzi «all’obbligo», come ama dire lui, di rivelare «ai cittadini di Israele, del Medio Oriente e del mondo», la natura della «polveriera» di Dimona. «Ho visto quello che stavano producendo e il suo significato», ha detto. Ha aggiunto di aver portato nella struttura una normale macchina fotografica, «una Pentax», e di aver scattato segretamente 58 foto, nascondendola poi nel suo zaino che gli uomini della sicurezza non controllavano più perchè la sua era una presenza abituale. Ha negato di aver fatto le sue rivelazioni in cambio di un compenso da parte del Sunday Times e ha ripetuto più volte che il nucleare è un pericolo, un’arma terribile, per tutti, anche per Israele e non soltanto per i suoi nemici. Ha infine ribadito di voler andare via, per ricongiungersi a suo moglie.
Vanunu, 60 anni, membro di una famiglia religiosa ortodossa, giunse dal Marocco quando era ancora bambino. Cominciò a formarsi una coscienza politica soltanto all’inizio degli anni Ottanta. In precedenza aveva svolto con diligenza il suo lavoro nella centrale di Dimona, costruita ufficialmente per la produzione di energia elettrica ma che il laburista Shimon Peres con l’aiuto del padre della atomica francese Francis Perrin, trasformò in un centro segreto. Vanunu cominciò a riflettere su ciò che avveniva a Dimona quando fu trasferito nel Machon 2, un complesso di sei piani sotterranei della centrale atomica dove venivano prodotti annualmente una quarantina di kg di plutonio. Nel 1985 Vanunu venne costretto a dimettersi per «instabilità psichica». Con uno zaino pieno di informazioni partì per l’Australia dove si mise in contatto con il Sunday Times. Giunto a Londra nell’agosto del 1986, si recò al giornale riferendo per due intere settimane i suoi segreti. Il direttore del giornale però esitò a pubblicare il racconto. Sospettava che Vanunu fosse un agente del Mossad che, per conto del suo governo, intendeva far sapere ai paesi arabi che Israele è in possesso di un arsenale nucleare in grado di incenerire l’intero Medio Oriente. Il servizio giornalistico verrà pubblicato solo il 5 ottobre, quando si seppe della scomparsa dell’israeliano.
Vanunu cadde in una trappola preparata alla fine dell’estate da una donna affascinante, Cindy, al secolo Cheryl Ben Tov, un’agente del Mossad per la quale perse la testa. Il sequestro non avvenne a Londra (i britannici non vollero) ma Roma (sempre disponibile) dove Cindy lo attirò proponendogli un weekend romantico, come Gregory Peck e Audrey Hepburn. Invece appena arrivato in Italia, gli agenti del Mossad lo rapirono e lo portarono in un appartamento nella periferia della capitale, poi lo trasferirono a La Spezia e, imbarcandolo sul mercantile israeliano Tapuz, lo rispedirono (in una cassa) in Israele. Vanunu si rivide in pubblico il 7 ottobre, solo per qualche attimo, a Gerusalemme, durante il processo per direttissima, quando con uno stratagemma — scrivendo sul palmo della mano che mostrò ai fotografi fuori dall’aula — fece sapere di aver raggiunto Roma il 30 settembre con il volo 504 della British Airways e di essere stato rapito. L’altra sera ha ammesso di non aver capito, anche dopo il rapimento, che Cindy era stata la protagonista del piano del Mossad e di averlo compreso solo dopo parecchi giorni mentre navigavano verso il porto di Haifa.
L’Italia, come fa spesso quando agisce il Mossad, finse di non accorgersi della violazione della sua sovranità territoriale e del rapimento a Roma. Le indagini avviate dal sostituto procuratore Domenico Sica non portarono a nulla, nessuno aveva visto e sentito. Vanunu per anni ha chiesto invano un intervento delle autorità italiane su Israele. Roma non ha mai risposto ai suoi appelli.