venerdì 11 settembre 2015

il manifesto 11.9.15
I russi in Siria complicano i piani militari di Israele
«L'ingresso della Russia nella scena siriana cambia le regole del gioco», scrive Amos Harel, analista di Haaretz
Israele si prepara a fare i conti con la presenza militare di Mosca in appoggio al presidente Bashar Assad che limiterà il dominio dei cieli della sua aviazione
di Michele Giorgio


GERUSALEMME A inizio settimana il quotidiano libanese al Akhbar aveva salutato con favore il maggior coinvolgimento militare della Russia a sostegno del presidente Bashar Assad e delle forze governative siriane in affanno contro la galassia di formazioni jihadiste e qaediste — dall’Isis ad al Qaeda (al Nusra) — ben armate e finanziate dalle generose donazioni che arrivano dai Paesi del Golfo. Secondo il quotidiano, l’intervento militare di Mosca impedirà o almeno ostacolerà futuri attacchi aerei israeliani in Siria e invia un segnale preciso al leader turco Erdogan, nemico giurato di Assad. Al Akhbar vola troppo alto, immagina una Russia decisa in Siria ad opporsi anche militarmente allo Stato di Israele, dal quale, peraltro, ha appena comprato una decina di droni per tenere sotto controllo la frontiera con l’Ucraina. Allo stesso tempo è evidente che, come ha scritto Amos Harel, autorevole analista militare del quotidiano israeliano Haaretz, «L’ingresso della Russia nella scena siriana cambia le regole del gioco».
Le missioni dei caccia russi nei cieli della Siria, ha spiegato Harel, automaticamente pongono dei «vincoli» alla libertà di azione dei jet da combattimento israeliani. Di fronte a ciò, indica l’analista, Israele dovrà in qualche modo adeguarsi alla nuova situazione e modificare in parte la sua strategia. Restrizioni alla libertà di movimento dell’aviazione israeliana sono previsti anche dal quotidiano Yediot Ahronot. Saranno richieste nuove “regole d’ingaggio” ha lasciato intendere Ram Ben-Barak, direttore generale del ministero dell’intelligence di Israele, mentre Amos Gilad, un consigliere del ministro della difesa Moshe Yaalon, sostiene che è troppo presto per parlare di «ostacoli» alle operazioni in Siria delle forze aeree israeliane. Da parte sua Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare, esclude che le due parti andranno in rotta di collisione. Faranno in modo di «non incontrarsi», ha commentato ricordando che Mosca e Tel Aviv non sono nemiche.
Gli israeliani gettano acqua sul fuoco, ridimensionano i riflessi dell’intervento russo in Siria, almeno per ciò che riguarda gli interessi dello Stato ebraico. Ed escludono che i caccia russi si spingeranno verso il sud della Siria, dove Israele concentra buona parte dei suoi attacchi contro l’esercito siriano e i combattenti di Hezbollah. Sanno però che dovranno fare i conti con una situazione nuova, che complica, e non poco, i loro piani militari a sostegno, ormai evidente, delle milizie islamiste radicali – quelle che in Occidente descrivono ancora come “ribelli moderati” — che operano nel sud della Siria e a ridosso del Golan. Israele già offre assistenza medica a questi “guerriglieri della libertà” con i quali, secondo un rapporto degli osservatori dell’Onu, mantiene contatti più o meno regolari.
Da quando è cominciata la guerra civile siriana l’aviazione con la stella di Davide ha avuto il completo dominio dei cieli e compiuto frequenti attacchi nel Golan e lungo la frontiera tra Libano e Siria, ma anche vicino Damasco. Ufficialmente per bloccare convogli con armi sofisticate e razzi destinati a Hezbollah e per impedire che il sud della Siria, in particolare la fascia di territorio a ridosso del Golan, si trasformi, sempre secondo Tel Aviv, in un “avamposto iraniano” per osservare lo Stato ebraico e attaccarlo. Tuttavia, osservando sulla cartina gli obiettivi colpiti negli ultimi mesi dai bombardieri israeliani, i raid non paiono più indirizzati a bloccare i presunti convogli di armi. Piuttosto danno una mano alle formazioni armate che combattono contro l’esercito siriano impegnato, assieme agli alleati di Hezbollah, a riprendere il controllo del Qalamoun, di Zabadani e del confine con il Libano, un’area strategica alla quale Damasco non può rinunciare se vuole garantirsi la sopravvivenza.