Il Fatto 28.9.15
Papa Francesco cammina sul vuoto
di Furio Colombo
Il Papa va a Cuba e incontra un Paese che del suo passato e della sua rivoluzione non ha più niente, solo un vecchio presidente malato e vecchi avversari in prigione. Il Papa va a Washington e trova un presidente nel pieno delle sue forze che riesce a stento a muovere la barra della sua nave, ha contro sia la destra che i vescovi, nonostante le opposizioni più violente, ha dato la cittadinanza a cinque milioni di immigrati, accetterà centomila profughi che una parte dell'Europa vuole ributtare in mare, e non riesce a chiudere il carcere di Guantanamo, una delle poche promesse elettorali finora non mantenuta. In tutti e due i casi il Papa viaggia attraverso due Paesi, uno piccolo e povero, uno grande e ricco, e fino a poco fa uno nemico dell'altro, dopo avere portato dialogo, ambasciatori e pace dove le braci dello scontro armato continuavano a tenere vivo il pericolo. In tutti e due i luoghi Papa Francesco incontra amici e trova nemici. Gli amici li aveva già prima, sono coloro che credono nella ragionevolezza e nella necessità di evitare sempre uno scontro. I nemici sono nuovi. Sono persone che non credevano e non credono che un uomo-simbolo di una grande religione possa stare così lontano dal potere e anzi non tener conto del potere. Non vogliono sentir dire che bisogna "avere care le persone, non le ideologie". Sul momento tutti hanno pensato (voluto pensare) che Francesco si stava rivolgendo con chiarezza e coraggio agli ex comunisti. Il fatto è che stava parlando a quella forte, tenace ideologia, al momento in crescita, da Alba dorata a Donald Trump. Il papa cammina su questo mondo vuoto di diritti umani negati. Cammina verso Obama, un leader come lui, che non grida e che non cede, ma si ferma prima dal più povero non per parlare degli errori di Castro e del castrismo, ma per immaginare, persino con uomo così vicino alla fine, il futuro dignitoso del suo popolo. Evidentemente Francesco teme il dopo Obama ma teme anche il dopo Castro.