Corriere 9.9.15
David Milliband
«Dai tedeschi la sveglia per l’Europa All’Inghilterra manca la leadership»
intervista di Viviana Mazza
«I 20 mila rifugiati che saranno ammessi nel Regno Unito nel corso dei prossimi cinque anni sono un contributo minimo. E’ una scelta che si discosta notevolmente dalla tradizione umanitaria della Gran Bretagna». David Miliband, l’ex ministro degli Esteri britannico, parla al Corriere dagli Stati Uniti, dove guida l’«International Rescue Committee», una delle organizzazioni umanitarie più attive nel soccorso ai rifugiati. Al governo di Cameron, Miliband chiede di fare la sua parte in questa crisi.
Cameron ha detto che il Paese sta mostrando una «straordinaria compassione».
«C’è del buono e del cattivo in quel che sta facendo la Gran Bretagna. Il buono sta nel fatto che è davvero un Paese leader negli aiuti internazionali, ma quando parliamo del ricollocamento dei rifugiati, vediamo che in Germania ne arrivano 20 mila in una settimana mentre in Gran Bretagna 20 mila in cinque anni: questo dimostra una mancanza di leadership».
Cameron vuole prenderli dai campi profughi, non dal flusso che arriva in Europa.
«Questo discorso dimostra la mancanza di comprensione della situazione perché non ci sono campi per i siriani in Libano benché il Paese conti più di un milione di profughi, e in Giordania ci sono due campi, ma la stragrande maggioranza dei rifugiati in Medio Oriente non sta nei campi, sta nelle aree urbane. Questo mostra che gran parte del dibattito è fondato su false premesse».
E’ rimasto sorpreso dalla grande solidarietà tedesca?
«Sì e credo che tutti siano rimasti stupiti perché è stata una mossa così audace, un tale esempio di visione e di lucidità morale e politica. E’ stata una sveglia per l’Europa, una spinta a riconoscere le sfide affrontate dall’Italia e dalla Grecia nonché da Libano, Giordania, Turchia e Iraq».
Questa sorpresa è anche legata al comportamento di Berlino nella crisi dell’euro?
«La prima ragione è l’audacia, l’altra è che la crisi dell’euro aveva creato una certa impressione sulla metodologia del processo decisionale tedesco, sulla loro capacità di prendere a cuore e sulle loro cautele».
Un sondaggio Bbc dice che il 57% dei britannici non vuole altri rifugiati. Due terzi dichiara che la foto del bimbo siriano morto non deve spingere a una politica meno razionale sull’immigrazione.
«Dipende da come il sondaggio ha formulato la domanda: nessuno sceglierebbe di essere irrazionale. Ma credo che alla base ci sia anche la confusione che nel Regno Unito e in altri Paesi, tra cui l’America, si è creata parlando di migranti quando si tratta di rifugiati».
Le piacerebbe vedere gli inglesi accogliere i rifugiati come hanno fatto i tedeschi?
«Penso che il cuore del popolo britannico sia grande, ma vogliono una leadership competente nel gestire le questioni. La risposta della società civile tedesca è davvero straordinaria, ma ci sono state alcune reazioni positive anche tra i britannici, i loro cuori non si sono rimpiccioliti».
E’ favorevole a futuri raid di Londra e Parigi in Siria?
«Guido un’organizzazione umanitaria, quindi limito i commenti sulle opzioni militari. Credo che l’intervento militare senza quello politico non arriverà alle radici della crisi in Siria e in Iraq. Questi conflitti hanno sofferto dell’assenza di un processo politico internazionale. Al momento il processo politico è ridotto a un unico funzionario Onu che cerca di negoziare dei cessate il fuoco».
Non crede che la paralisi del processo politico sia legata alla volontà di sconfiggere l’Isis senza rafforzare Assad?
«Il destino di Assad è stato il principale ostacolo, ma non è una scusa per l’assenza di un processo politico. Per via del fallimento delle potenze internazionali, ora stiamo raccogliendo i frutti di quattro anni di inerzia».
In America vi state battendo per far accogliere 65mila rifugiati entro il 2016.
«Al momento gli Usa rifiutano questo numero. Solo 14 senatori ci appoggiano. Questo non risolverà la crisi siriana, ma farà la differenza per alcuni individui e mostrerà ai Paesi della regione che siamo pronti a condividere il peso sul serio».
La sua organizzazione è attiva anche nell’isola di Lesbo dove si sono accumulati 20 mila profughi. Cosa serve lì?
«Dopo aver percorso 40 chilometri da nord a sud, i profughi scoprono che non ci sono traghetti per lasciare l’isola. Ne arrivano 3000 al giorno. A Lesbos come a Kos, Samos, Chios, forniamo acqua, bagni, tende. Ora stiamo cercando di spiegare alle autorità europee il bisogno di trasporti».