sabato 5 settembre 2015

Corriere 5.9.15
Senato, il premier e l’ipotesi di accordo che può convincere Bersani e la Lega
L’idea di scorporare l’elettività e mediare sui listini regionali con una norma ordinaria
di Maria Teresa Meli


ROMA «Sulle riforme avanti tutta»: Matteo Renzi non ha nessuna remora ed è convinto che, alla fine della festa, i numeri per far passare il ddl Boschi ci saranno. Di più: «I numeri ci sono già adesso, ma non voglio creare incidenti parlamentari, per cui non forzo e resto fedele all’idea di un’ampia condivisione di questa legge».
Già, il premier, nonostante la sua determinazione ad andare avanti non vuole fare annunci di guerra. Non ne ha bisogno, perché in realtà, al di là delle dichiarazioni ufficiali degli esponenti della minoranza del Pd e di quelle altrettanto dure dei renziani, le trattative sono già partite, benché l’accordo non ci sia ancora.
Il presidente del Consiglio è fermo su una linea di principio: «L’Italia riparte grazie alle riforme, quindi nessuno può bloccarle». Questa affermazione tradotta in modifiche alla legge, significa che il premier è disposto a cambiare l’articolo uno del ddl, quello che riguarda le competenze del Senato. E sul resto offre solo pochi margini: «La mediazione che io propongo — spiega Renzi ai suoi — riguarda i listini, non altro».
Tradotto dal politichese all’italiano, significa che l’elezione diretta dei senatori non è prevista in nessun modo: l’articolo due del ddl non si cambia, se non nella parte in cui è stato già modificato alla Camera, ossia il comma quattro, quello sulla composizione di Palazzo Madama. Quel famoso paragrafo in cui un «nei» è stato sostituito da un «dai» e il resto del significato si è perso per strada.
Insomma, per farla breve, la mediazione è questa: niente elezione diretta dei senatori, piuttosto, un listino a parte, nelle regionali, grazie al quale l’elettore darà un voto a chi vuole diventi senatore. Morale della favola: verrà partorita una legge quadro, alla quale le regioni che devono esprimere i senatori, adegueranno, ciascuna come ritiene, le loro normative elettorali. Perciò: nessuna elezione diretta, e, quindi, nessuna modifica costituzionale, bensì una legge ordinaria che verrà redatta all’uopo.
Questo consentirà a Renzi di chiudere la partita. E infatti Pier Luigi Bersani, che sta seguendo questa trattativa, non ha ancora tratto il dado e da qualche giorno in qua sembra più propenso all’accordo. «Diciamoci la verità — ha confidato a qualche fidatissimo amico — questo tema non ci mette in sintonia con il nostro popolo, anzi, alle feste dell’Unità c’è chi ci contesta perché remiamo contro la riforma, quindi non ci conviene spingere troppo, piuttosto lavoriamo sul fisco e sulle cose di sostanza del ddl Boschi».
La minoranza, però, è spaccata anche in questo passaggio: senatori come Gotor o Fornaro si adegueranno alla nuova linea bersaniana, Chiti, Mineo e Muchetti no. Ma poco male per il premier, perché anche nella Lega si stanno aprendo dei varchi. Ragion per cui il premier è sicuro di farcela.
Anche con il presidente del Senato, in realtà, sono state aperte delle trattative. E a Grasso è stato fatto sapere che se lui mettesse in votazione solo gli emendamenti al comma 4 dell’articolo due salverebbe la situazione. In questo modo non apparirebbe come colui che vuole sopprimere il dibattito parlamentare, ma, nello stesso tempo, consentirebbe al governo (e alla legislatura) di andare avanti.
Sì, perché su un punto, nonostante le trattative aperte, Renzi è determinato: «L’articolo due non è in trattativa». Il che significa che il premier vuole farsi carico delle mediazioni e della sintesi finale, ma non accetta di certo di fare marcia indietro: «Non voglio incidenti parlamentari, ma non voglio neanche che si ricominci da zero».
Insomma, il presidente del Consiglio è disponibile alla trattativa, ma fino a un certo punto: «Tutti i segnali vanno nella direzione che abbiamo indicato da mesi, quella di un’Italia tutt’altro che rassegnata, ma che anzi sta ripartendo. E questi risultati vanno insieme alle riforme, perché quello che dobbiamo fare è creare un clima positivo nel Paese».
Dunque, ancora una volta «avanti tutta», in attesa di quel referendum confermativo nel 2016 che è l’obiettivo finale del presidente del Consiglio. Se quell’appuntamento con le urne coinciderà con le elezioni non è dato sapere. Ma intanto Renzi si attrezza, portando a casa la riforma costituzionale. Il premier non vuole le elezioni anticipate e non ci punta, ma da animale politico quale è non le può nemmeno escludere: «Io sono pronto», continua a ripetere. E nel frattempo attende le mosse degli oppositori esterni e interni.