Corriere 30.9.15
La rabbia dei renziani
di Maria Teresa Meli
ROMA Erano convinti che alla fine la scure di Pietro Grasso ne avrebbe depennati di più. Molti di più. Erano convinti che su Roberto Calderoli la ghigliottina sarebbe stata ben più recisa e decisa.
Il governo e la maggioranza del Partito democratico puntavano su cinquemila emendamenti. Tanti ne dovevano rimanere se le cose fossero andate come preventivato (e chiesto a Grasso). Così non è stato. Non solo: il presidente del Senato si è riservato di esprimere articolo dopo articolo il giudizio di ammissibilità sugli emendamenti. Un altro intoppo nella marcia del disegno di legge Boschi. Ma l’esecutivo ora tenta di fare finta di niente. Anche se gli uomini del presidente del Consiglio, a Palazzo Chigi sono inquieti: «Prima Grasso ci ha chiesto di fare un accordo politico con la nostra minoranza, poi una volta che abbiamo cercato di farlo, ha messo le cose in modo tale da impedire una trattativa». Matteo Renzi però non vuole essere messo in mezzo in questa nuova diatriba.
Il premier sa che la minoranza del suo partito conta di giocare di conserva con Pietro Grasso per tentare di rendere più difficile l’iter del disegno legge. L’idea dei bersaniani è addirittura quella di riuscire a ritardare l’approvazione della legge. Gli uomini della minoranza ne parlano apertamente tra il Senato e la Camera. Non puntano più in alto. Basterebbe loro creare qualche altra difficoltà al leader del Pd.
Una battaglia mediatica più che altro, per evitare che all’esterno arrivi l’immagine di un presidente del Consiglio vincitore senza problemi, perché né i bersaniani né Grasso hanno in realtà intenzione di spingere il piede sull’acceleratore fino in fondo. Non saprebbero dove andare. Gli oppositori del premier non vogliono lo strappo perché sanno che la conseguenza inevitabile sarebbe la scissione e non vogliono arrivare sono a quel punto. Il presidente del Senato sa che se il governo cadesse non ci sarebbe un governo tecnico da lui guidato perché Sergio Mattarella non potrebbe non prendere atto della volontà del segretario del partito di maggioranza relativa. La quale volontà Renzi ha espresso in maniera più che chiara: «Il leader del Partito democratico sono io e ho la maggioranza sia nel partito che nei gruppi parlamentari».
Per questa ragione il premier non ha intenzione di stare appresso ai contorcimenti di Palazzo Madama. «Il 13 ottobre si vota, i tempi sono contingentati, non vi preoccupate, non esiste che la riforma non passi entro quella data», ha detto ai suoi da New York per rassicurarli. Della serie: Grasso non mi darà del filo da torcere.
Ma Renzi, comunque, non vuole andare di nuovo allo scontro con il presidente del Senato, non in questo momento in cui ha il vento in poppa, dopo una trasferta americana che è andata più che bene dal suo punto di vista e dopo i dati dell’Istat che confermano l’aumento di fiducia dei consumatori e delle imprese.
Però il presidente del Consiglio sa che tra un voto segreto e l’altro il rischio di andare sotto per il governo c’è sempre e anche su questo punto Grasso non ha dato garanzie. Ma Renzi sa anche che senza il disegno di legge Boschi non si va avanti e che quindi il presidente del Senato non si prenderà mai la responsabilità di far fallire non solo la riforma costituzionale ma pure la legislatura: «Non esiste: di fatto se non si va avanti con le riforme salta anche la legge di Stabilità e, di conseguenza, la riduzione delle tasse», è la convinzione del premier. Grasso vuole prendersi questa responsabilità? Domanda retorica dal fronte renziano.