mercoledì 2 settembre 2015

Corriere 2.9.15
Quei 2800 emendamenti sui senatori eletti In Aula
La bersaniana Doris Lo Moro conferma che i numeri per fermare il premier ci sono
di Monica Guerzoni


Muro contro muro sulla riforma. Il fronte filogovernativo teme le scelte di Grasso e confida in Finocchiaro
Secondo un sondaggio Piepoli nessun partito sopra il 40%: Pd con Ncd perde 4 punti e viene sorpassato dal M5S

ROMA Il faccia a faccia tra Renzi e Bersani sembra un miraggio di fine estate e il senatore dissidente del Pd Miguel Gotor non vede accordi all’orizzonte: «Renzi sta parlando con tutti, dai Cinquestelle ai transfughi di Verdini, tranne che col suo partito... Farebbe votare la riforma del Senato persino ai commessi, pur di non avere bisogno della sua minoranza».
Avanti così dunque, in attesa che il presidente del Senato Pietro Grasso torni dal vertice dei presidenti dei Parlamenti di New York e decida se l’articolo 2 del ddl Boschi, tra le righe del quale è scritto il destino del governo, vada riaperto oppure no. Per i 25 della minoranza che tengono in pugno la maggioranza quel passaggio va rivisto, così da poter introdurre l’elezione diretta dei senatori. Mentre per i renziani non si tocca, pena il disfarsi della tela della ministra Boschi.
Ma se la minoranza spera nel presidente Grasso, il fronte filogovernativo confida in Anna Finocchiaro. La quale, se il passaggio della Commissione non verrà saltato a pie’ pari, dovrà deliberare per prima sull’ammissibilità degli oltre 500 mila emendamenti: dai dati ufficiosi «solo» 2.800 riguardano l’articolo 2 e circa 400 mila l’articolo 10. I renziani descrivono la presidente della Affari costituzionali «determinata a tenere il punto» sull’intangibilità dell’articolo 2 e si sono convinti che il niet di una veterana del Parlamento, stimata non solo a sinistra, possa condizionare il successivo parere della seconda carica dello Stato.
Il nodo è sempre lo stesso: la modifica lessicale introdotta al comma 5 nel passaggio alla Camera consente di rivedere l’intero articolo 2? Per i renziani la scelta di emendarlo integralmente sarebbe «inaccettabile, priva di appigli giuridici». E la speranza è che Grasso si limiti a riaprire i giochi sull’ormai celebre preposizione modificata al comma 5, dove «nei» è diventato «dai».
Forza Italia si prepara a votare «convintamente» no, come ha anticipato al Corriere Paolo Romani. Eppure Ettore Rosato si dice «per nulla preoccupato dei numeri» e ricorda che non servono 161 voti per approvare la riforma: «Il Pd si ritroverà nell’unità e nella responsabilità». Ma intanto, tra il Nazareno e Palazzo Chigi, si soppesano le dichiarazioni dei bersaniani per capire se il loro vero obiettivo sia salvaguardare la Costituzione o, piuttosto, sabotare il governo, magari per qualche poltrona in un Renzi bis. Voci e sospetti che Doris Lo Moro smentisce, pur confermando di avere i numeri per fermare il premier: «Noi aspettiamo un’apertura vera. Il peccato originale è non aver tenuto conto del mancato voto di alcuni di noi sull’Italicum. Era un segnale chiaro, quel giorno è iniziata un’altra storia». Si rischia la scissione? «O ci si ascolta, o non ci sono le condizioni». Volete far cadere il governo? «No — smentisce la senatrice —. È ipocrita dirlo, loro sanno bene che ci stiamo spaccando sul merito. Noi non vogliamo che il governo cada, ma è chiaro che senza i nostri voti non passa più niente». E se Federico Fornaro si dice «amareggiato perché la riforma si è ridotta al pallottoliere di Lotti», Gotor ricorda quanto sia stato «saggio Grasso, nel dire che in aula bisogna arrivarci con un accordo preventivo». Ad agitare il Pd arriva un sondaggio Piepoli, secondo cui nessun partito è in grado di superare il 40%. Renzi alleato con l’Ncd perderebbe 4 punti, dal 32 al 28, i «dem» si vedrebbero scavalcati dal M5S (29%) e insidiati dall’alleanza tra Fi e Lega (26%).