sabato 19 settembre 2015

Corriere 19.9.15
Sfida sui profughi nei Balcani L’Ungheria accusa la Croazia
Zagabria li rispedisce ai vicini. La Slovenia non esclude un «corridoio per l’Europa»
di Francesco Battistini


DAL NOSTRO INVIATO ZAGABRIA « Dove si prendono i pullman per Dobova?». Si chiudono altre porte, ma le gambe sono più veloci dei proclami. Chi entra in Europa è più deciso di chi vuole sbatterlo fuori. Alla stazione di Zagabria, mentre il premier croato Zoran Milanovic annuncia che sbarrerà le frontiere con la Serbia e rispedirà tutti in Ungheria — «sono arrivati oltre 15.000 profughi, non possiamo prenderne altri» — un gruppo di siriani è già in marcia per il confine successivo: la Slovenia. «Non daremo alcun corridoio per l’Europa», dicono in un primo tempo a Lubiana ma in serata ci ripensano e non escludono più il «passaggio umanitario» che potrebbe far arrivare i rifugiati fino alle porte dell’Italia.
Vengono da Idlib, terra Isis, e non sarà un gendarme balcanico a spaventarli: «Tornare indietro è impossibile — dice Abu Mohamed —. Non abbiamo né i soldi, né la forza. Voglio solo dire ai croati di non aver paura di noi, siamo gente tranquilla. Il terrorismo non cammina con noi». Parole inutili. La Croazia è già Ue, ma non ancora Schengen. L’Ungheria e la piccola Slovenia sono sia Ue che Schengen: teneteveli voi, dice Zagabria. L’onda deve tornare da dov’è venuta: mille siriani e afghani vengono rispediti al mittente con un treno, stazione di Magyarboly, Ungheria. Altri seguiranno, per un corridoio che raggiunga il Nord Europa: «Voi siete i benvenuti — dice il premier a chi è già entrato —. Avrete cibo, acqua, medicine. Poi però ve ne andrete». Dove? «Budapest ha chiuso le frontiere col filo spinato. Non è una soluzione, ma non lo è nemmeno tenere questa gente in Croazia. Noi non diventeremo un hotspot per l’Europa: abbiamo un piano B». Sospesi tutti i collegamenti ferroviari da e per la Serbia, apertura d’un solo valico stradale su otto. Milanovic allarga le braccia: «Che altro possiamo fare? Abbiamo un cuore, ma anche una testa».
Tutti contro tutti. Fra Budapest e Zagabria siamo quasi alla convocazione degli ambasciatori: gli ungheresi accusano i croati d’incoraggiare l’illegalità. La Slovenia schiera la polizia sull’autostrada a Obrezje e chiude i binari da Zagabria: 150 profughi vengono spediti in un centro a 50 km da Lubiana, un siriano l’hanno ripescato che nuotava in un fiume sul confine. L’impreparazione è la sola cosa che unisce i governi investiti dalla nuova ondata. «Non volevamo rivedere certe scene ai confini e l’unico dato positivo è che abbiamo mostrato al mondo le nostre buone maniere», è critica col suo governo la presidentessa croata Kolinda Kitarovic, in un clima già caldo per le elezioni: per il resto «l’organizzazione s’è rivelata inadeguata».
A Beli Manastir, è emergenza vera: scontri fra afghani e siriani, migliaia a dormire per terra da un distributore a un parcheggio. Molti camminano lungo il Danubio, ma al confine serbo di Tovarnik è facile attraversare i campi di grano ed entrare nell’Ue. La polizia croata tenta una selezione, donne e bambini al centro d’accoglienza, indietro gli uomini, ma come piano B non sembra granché. E pure la mossa d’imitare gli ungheresi e d’alzare i ponti levatoi ha un che d’improvvisato: «La solidarietà dei croati dura solo due giorni — protesta il serbo Vulin, ministro d’un Paese che è l’anello debole della catena — non possiamo pagare noi il prezzo dell’incapacità altrui. Se le frontiere rimangono chiuse, porteremo Zagabria davanti alle corti internazionali».
Ha da ridire pure Orbán, il leader ungherese. Che alza una nuova barriera sul confine croato — 41 chilometri di filo spinato e 1.800 soldati, «il resto lo farà il fiume Drave che è difficile da attraversare» —, chiude la frontiera rumena sul Mures e intanto definisce «totalmente inaccettabile» il comportamento croato: «Noi ci siamo attrezzati in nove mesi, loro sono già al collasso dopo un giorno». È un altro effetto collaterale: «Nei Balcani — dice Dejan Jovic, politologo di Zagabria — si risentono echi del passato. La retorica delle destre rispolvera l’antico ruolo di baluardo continentale contro le invasioni turche. E per i populisti è facile dire che le primavere arabe ci stanno portando solo una cosa: l’autunno europeo».