sabato 19 settembre 2015

Corriere 19.9.15
Crisi e accoglienza
L’Europa, i rifugiati e il capitale umano dei nuovi cittadini
Divisioni L’Ue stenta a trovare una rotta sicura e condivisa nella gestione dei migranti
Anzi, le emozioni contrapposte stano provocando una nuova frattura tra Est ed Ovest dopo quella tra Nord e Sud causata dal caso greco
di Massimo Nava


Sommerse da immagini sconvolgenti — il bambino morto sulla spiaggia turca, le orde di disperati in marcia, i fili spinati nel cuore dell’Europa, la successione di naufragi nel Mare Nostrum — le opinioni pubbliche europee e i rispettivi governi stanno reagendo, nel bene e nel male, sull’onda delle emozioni. Da una parte, gli slanci di solidarietà, i dibattiti finalmente alti sul dovere di accoglienza, le iniziative coraggiose, innescate dai due messaggi più forti e responsabili che si sono sentiti in queste settimane: quello politico di Angela Merkel e quello spirituale di papa Francesco, i due soli grandi leader di cui dispone oggi l’Europa. Dall’altra parte, le nuove chiusure, i nuovi muri che si alzano nell’Europa dell’Est, la precipitosa messa in discussione di Schengen, i propositi di chiusura delle frontiere, le tentazioni militari con il freno tirato, l’eco mai sopita dei movimenti xenofobi che alimentano la paura dell’invasione.
Fra emozioni contrapposte, l’Europa stenta a trovare una rotta sicura e condivisa nella gestione di profughi e migranti. Anzi, le emozioni contrapposte stanno provocando una nuova frattura, fra Est e Ovest dell’Europa, dopo la frattura Nord-Sud nella gestione della crisi greca. A ben vedere, l’eccesso di emotività condiziona la questione immigrazione, mentre l’eccesso di razionalità contabile ha impedito una soluzione rapida e tutto sommato meno dolorosa della crisi greca.
Le cronache della fuga di massa da guerre e distruzioni hanno esaltato il fattore umano che pochi hanno invece voluto vedere nelle sofferenze inflitte ai cittadini europei della Grecia. Su entrambi i fronti, è venuta a mancare una valutazione dei fenomeni più realistica, cioè una corretta combinazione di dati economici e attenzione a fattori sociali.
Fiumi d’inchiostro sono stati versati inutilmente per evidenziare la sproporzione fra l’entità del debito greco e il costo oggettivo del salvataggio, mentre risorse infinitamente più grandi venivano bruciate dalle borse asiatiche. E fiumi d’inchiostro vengono versati ora per raccontare le cronache dell’«invasione», mentre si stenta a valutare quanto l’«invasione» sarebbe economicamente gestibile rispetto alle risorse disponibili e socialmente necessaria rispetto all’evoluzione demografica e del mercato del lavoro.
In altre parole, le problematiche collegabili al capitale finanziario continuano a essere valutate e gestite in modo disgiunto dalle problematiche collegabili al capitale umano, mentre una riflessione puntuale su costi e benefici di entrambe le problematiche avrebbe risultati sicuramente più confortanti.
Del costo oggettivo della crisi greca si è detto. Per quanto riguarda la gestione profughi, basterebbe tenere presente alcuni dati. Gli Stati Uniti, con poco più della metà della popolazione europea, hanno accolto fra il 2000 e il 2013, quasi 12 milioni di nuovi cittadini, quasi un milione all’anno. Si calcola che i clandestini siano 11 milioni. Il 20 per cento degli immigrati nel mondo va verso gli Usa (5 per cento della popolazione mondiale).
Turchia, Giordania e Libano ospitano circa il 90 per cento dei quattro milioni di profughi siriani, mentre l’Europa discute sul come distribuire quanti profughi ha più o meno ospitato il solo Egitto (132.000).
Messe da parte le emozioni contrapposte, non sarebbe così difficile accettare l’idea che l’Europa necessita di un flusso costante e importante di nuovi cittadini per garantire la sopravvivenza stessa del proprio sistema di sviluppo e garanzie sociali. E che il costo di questi flussi è largamente sopportabile rispetto alle risorse disponibili e infinitamente inferiore a risorse sprecate in bolle finanziarie e operazioni militari all’origine della destabilizzazione di intere regioni del mondo.
Molto si è discusso anche delle ragioni che hanno spinto Angela Merkel a rompere gli indugi e a dare un segnale all’Europa. Fra queste, c’è sicuramente un po’ di razionalità tedesca, ossia la consapevolezza della posta in gioco per il futuro del Paese. L’accoglienza è un dovere, ma la Germania sa di avere bisogno di braccia . E le cerca dove ci sono. Anzi, le aspetta.