Corriere 16.9.15
Il problema di Erdogan sono i curdi, non l’Isis
di Lorenzo Cremonesi
La Turchia è precipitata nella guerra civile. L’antico scontro tra nazionalisti turchi e indipendentisti curdi è ripreso negli ultimi due mesi con una virulenza tale che destabilizza il Paese e pregiudica l’appuntamento elettorale del primo novembre. La cosa non è da prendere sotto gamba. A rischio non sono soltanto gli equilibri interni turchi, ma soprattutto i tentativi occidentali di creare un fronte unito contro Isis. Non è un mistero infatti che proprio l’esercito turco, assieme alle formazioni armate curde in Siria e l’enclave semi-indipendente curda in Iraq, costituiscono forze locali importanti su cui contano Europa e Stati Uniti per arginare i jihadisti del Califfato.
Che fare allora se i nostri alleati sul posto sono in realtà divisi e addirittura in guerra tra loro? Il problema è variegato e riassume la complessità della situazione. L’amministrazione Obama sta ancora facendo di tutto per convincere Recep Tayyp Erdogan a continuare a collaborare nei raid aerei contro Isis. Ma il presidente turco, oggi preoccupato più che mai di arginare la popolarità dei partiti curdi locali e la loro alleanza sempre più stretta con le formazioni militari curde in Siria, si dimostra un alleato poco affidabile, guidato da priorità molto diverse da quelle degli altri membri della Nato. Così lo scorso luglio ha bruscamente interrotto i dialoghi con il Pkk, il maggior partito del radicalismo curdo con cui la Turchia dai primi anni Ottanta al 2013 aveva combattuto un conflitto costato oltre 40.000 vittime. Da allora i gruppi nazionalisti turchi hanno attaccato centinaia di sedi dei partiti curdi e dei media considerati «non patriottici».
Intanto si contano decine di morti tra i soldati governativi e i militanti curdi. Il coprifuoco è stato imposto su numerose città e località lungo il confine siriano. Ovvio che Erdogan continua a considerare quello curdo un problema molto più urgente che non Isis.