martedì 15 settembre 2015

Corriere 15.9.15
A casa con i genitori
La classifica europea di chi a 25-34 anni abita con la mamma
In Italia sono il 46,6% (in Danimarca l’1,8 e in Francia l’11,5)
di Luca Mastrantonio


L’Europa è sempre più divisa tra nord e sud, tra est e ovest, come se una faglia obliqua l’attraversasse. Non si tratta però, soltanto, di differenze di tipo economico, o di politiche verso la nuova emergenza migratoria. Si tratta della percentuale di giovani, tra i 25 e i 34 anni, che vive a casa con i genitori. Ad esempio: nella Penisola scandinava solo un giovane su 25 vive ancora con i genitori, in Grecia invece è il destino di un giovane sue due. Le cifre sono dati aggregati di Eurostat (ec.europa.eu/eurostat).
L’Europa del centro nord ha una media tra il 10 e il 15 per cento, con Inghilterra, Germania e Francia, mentre i cosiddetti Pigs , Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, viaggiano tra il 30 e il 50 per cento. I Paesi con il numero più alto di giovani che vivono con i genitori sono a est, nell’ex impero sovietico, con la Slovacchia che segna un 56,6. Più di un giovane su due non si è ancora emancipato.
C’è una evidente corrispondenza con i dati macro economici di crescita. I giovani restano a casa nei Paesi dove il Pil è basso, dove la disoccupazione è più alta, dove il welfare statale langue ed è supplito, finché si può, da quello familiare. Pensioni e altre piccole entrate dei genitori.
Potrebbe offrire qualche spunto anche una lettura di tipo culturale-religioso, con i Paesi cattolici e ortodossi, rispetto a quelli protestanti, più inclini a trattenere, attirare o aiutare i giovani. Ma dentro il gruppo di questi giovani che fanno «co-housing» familiare c’è di tutto: adulti mai cresciuti perché preferiscono vivere come eterni figli, con agio, i cosiddetti «bamboccioni»; ci sono i «Neet», che è l’acronimo inglese per «Not (engaged) in Education, Employment or Training», cioè persone non impegnate nello studio, né nel lavoro o nella formazione, che vivono nello sconforto personale e nella decrescita infelice; e ancora, gli «indivanados», per dirla alla spagnola, quelli che cioè militano dal divano di casa (in Italia si è parlato di «sdraiati»).
Molti, tra i 30enni di oggi, appartengono alla Generazione Erasmus , il programma che ha permesso di vivere l’Europa unita. Generazione chiamata, in Italia, «mille euro», perché guadagna — quando va bene, purtroppo — questa cifra.
Ora l’Europa è chiamata a ripensarsi, non soltanto come unione monetaria, ma pure politica; anche perché, oltre ai problemi finanziari e di bilancio, deve fronteggiare fenomeni migratori di varia natura, che incidono su Paesi che hanno dinamiche interne, e reazioni, molto differenti.
Fino a oggi si pensava che i divari fossero soprattutto economici, tra nord e sud; patti di stabilità, crediti da riscuotere, aiuti da approvare. Poi, con i migranti che hanno cambiato rotta, passando non più solo da sud, ma da est verso il centro e il nord d’Europa, il continente ha scoperto altre faglie, più oblique e profonde.
Le stesse che purtroppo riguardano i giovani: chi vive nell’Europa arranca, resta in famiglia.
Altro che Erasmus.