Corriere 13.9.15
Troppe paure sulla crisi cinese ma urgono riforme per il futuro
Il Paese rimane il più grande soggetto commerciale del mondo
di Ian Bremmer
A luglio, la China Digital Times, un osservatore basato negli Stati Uniti che analizza le notizie provenienti dalla Cina, ha pubblicato un documento trafugato, il quale, secondo le indiscrezioni, informava i giornalisti cinesi, impegnati a seguire i mercati finanziari del Paese, di essere sotto sorveglianza da parte degli organi di governo. «Vi sconsigliamo dal condurre analisi approfondite, dall’avanzare congetture o valutazioni riguardo alle tendenze di mercato», avvertiva il memorandum. «Non esagerate né diffondete sensazioni di panico o di sconforto. Non utilizzate termini carichi di valenze emotive, come “calo”, “impennata” o “crollo”». Oggi sappiamo che il governo cinese faceva terribilmente sul serio. Negli ultimi giorni, difatti, i mezzi di comunicazione cinesi, controllati dallo Stato, hanno pubblicato le «confessioni» rese dai giornalisti che si sono accollati la responsabilità dei recenti scossoni avvertiti dal principale mercato azionario di riferimento, quello di Shanghai.
Ma non è la volatilità del mercato in Cina (né le possibili ripercussioni sulla seconda economia mondiale) a creare timori, quanto piuttosto la reazione ufficiale di Pechino, che davanti a questi problemi non ha saputo far altro che mettere a tacere ogni tentativo di discussione su come reagire alla crisi, preferendo cercare capri espiatori.
I timori per la tenuta dell’economia cinese sono indubbiamente esagerati. Da un lato, è naturale temere l’impatto globale di un rallentamento superiore alle attese in quella parte del mondo. La Cina, oggi, è il più grande soggetto commerciale al mondo, da sola è in grado di determinare i prezzi delle materie prime. I mercati azionari europei ed americani salgono o scendono a seconda dei suoi ultimi dati manufatturieri. Tuttavia, il gigante emergente non è affatto avviato verso un «atterraggio duro» nel prossimo futuro. La capacità dello Stato di stimolare i prestiti bancari e di investire grosse cifre in importanti progetti infrastrutturali suggerisce che la Cina riuscirà ad avvicinarsi al suo obiettivo di crescita per quest’anno, fissato a «circa il 7 per cento».
È vero che la borsa di Shanghai ha perso il 40 per cento nelle ultime settimane, ma questo segue un rialzo del 150 per cento nell’arco dell’anno precedente. Perché mai dobbiamo prendere il calo brusco come rivelatore della reale forza dell’economia cinese, anziché il rialzo precedente, tra l’altro molto più cospicuo? In realtà siamo di fronte a un mercato immaturo, che rappresenta un barometro molto più affidabile per misurare la volontà di controllo del governo, che non la reale economia cinese. In Cina, solo una persona su 30 detiene azioni, una percentuale molto inferiore rispetto ai mercati evoluti.
Né è il caso di allarmarsi eccessivamente per la decisione della Cina di svalutare la sua moneta. Questa mossa non è stata incisiva abbastanza da alterare significativamente la bilancia commerciale cinese con i suoi maggiori partner, e il Fondo monetario internazionale ha elogiato questa strategia, perché riporta il valore della moneta in linea con le forze di mercato. In breve, l’economia cinese è più stabile di quanto non siamo in grado di apprezzare.
Ma prima di decidere se sia il caso di ignorare ogni timore per la stabilità della Cina, speriamo che questa estate turbolenta convincerà i governi e le imprese, che fanno troppo affidamento sull’espansione cinese, a prestare maggiore attenzione ai pericoli sul lungo termine, che sicuramente dovranno affrontare se non adotteranno le dovute cautele. È probabile che la Cina resterà stabile negli anni a venire, ma la tendenza dei suoi governanti a fare marcia indietro sulle riforme necessarie — intervenendo, per esempio, a puntellare i mercati che sarebbe meglio lasciare agire indisturbati — appare preoccupante. Ancor più inquietante è l’abitudine dei leader cinesi a ricorrere alla censura e alla repressione.
Ma esiste anche un’altra preoccupazione. La Cina non resterà forte e stabile per sempre, in assenza di riforme economiche. In particolare, il governo cinese dovrà affrancare l’economia dall’eccessiva dipendenza dalle esportazioni, invogliando il pubblico cinese ad acquistare beni di consumo prodotti in Cina. Questo è essenziale per favorire la creazione di un’ampia classe media e assicurare una crescita sostenibile a lungo termine. Pertanto il successo dipenderà da un enorme trasferimento di ricchezza ai consumatori cinesi.
Per assicurare che coloro che saranno chiamati a mettere a disposizione gran parte di questa ricchezza non ostacolino le riforme, il presidente Xi Jinping ha lanciato un movimento anticorruzione che ha già espulso migliaia di funzionari dal governo, e ne ha spediti in prigione altrettanti. Per ora, Xi resta saldamente al comando, ma un numero crescente di potenziali nemici all’interno della leadership potrebbe essere in attesa del momento opportuno per passare all’attacco e respingere le riforme. Questo è un rischio a lungo termine di cui si dovrà tener conto.
In breve, i timori per un dissesto a breve termine sono esagerati. Ma se riusciranno a convincere i governi e le imprese, che dipendono dalla crescita cinese, a prepararsi ad affrontare una maggior volatilità — e a premunirsi contro l’eventualità che la Cina non riesca a sostenere una crescita stabile sul lungo periodo — allora questi timori si saranno rivelati estremamente utili.
(Traduzione di Rita Baldassarre)