sabato 12 settembre 2015

Corriere 12.9.15
Ma i nemici della riforma sono privi di un «piano B»
di Francesco Verderami


Se il Senato somiglia a un Grand Hotel è perché la modifica del bicameralismo non è solo un problema costituzionale ma è anche un caso di ristrutturazione aziendale che acuisce il nervosismo nel Palazzo, dove nessuno si salverebbe dal taglio di un terzo dei seggi parlamentari. Neanche il Pd.
Così su Renzi e le sue riforme si addensa un’ostilità trasversale. È un miscuglio di obiezioni tecniche e di aspettative personali presenti e future che cova in un pezzo di maggioranza, desiderosa di giocare contro il premier insieme alle opposizioni. Epperò priva di un «piano b», di un’alternativa. Potenzialmente, infatti, la minoranza del Pd e una frangia dei centristi potrebbero far cadere il governo, ma dovrebbero poi disporsi alle elezioni.
L’ipotesi di un Renzi bis infatti non esiste, perché il leader democratico ha pronta l’eventuale contromossa, studiata in questi giorni. Se si rendesse conto di non avere davvero i numeri al Senato sulle modifiche costituzionali, chiederebbe di spostare il voto dopo la legge di Stabilità. Portata a casa la manovra economica, convocherebbe il partito per dotarsi di un mandato, in base al quale il Pd — qualora non dovessero passare le riforme — si renderebbe «indisponibile» a proseguire la legislatura.
E per quanto il Quirinale non voglia elezioni anticipate, senza maggioranza parlamentare si troverebbe costretto a sciogliere le Camere. Altre opzioni, come quella di un governo istituzionale retto da Grasso, è considerato «fantascienza» dagli uomini del segretario dem. A quel punto, il voto con il Consultellum si incaricherebbe di falcidiare quei senatori che proprio facendo saltare le riforme sperano di salvare il seggio: con quel sistema elettorale che prevede una soglia di sbarramento all’8% su base regionale, i centristi — per esempio — potrebbero sperare di ottenere il risultato solo in Calabria e in Sicilia.
È chiaro che la minaccia di Renzi vuole avere solo un effetto deterrente. Ma oggi sono i numeri più che la politica a guidare il gioco delle porte girevoli nel Grand Hotel del Senato, dove c’è chi minaccia di uscire e c’è chi si prepara a entrare. La prossima settimana l’ex ministro berlusconiano Romano, insieme al collega forzista Galati, annunceranno alla Camera l’adesione al progetto di Verdini, portando in dote anche il senatore Ruvolo «in nome delle riforme, sia chiaro, non del governo». Renzi non se ne avrà a male per questa precisazione: a palazzo Madama, nel braccio di ferro con i suoi avversari, quel voto vale doppio.
Resta allora da vedere chi finirà incastrato in questo andirivieni, perché al momento i tentativi di mediazione proposti al premier sono stati respinti. E non solo quelli della minoranza interna. L’altra sera, incontrando Alfano dopo il Consiglio dei ministri, Renzi ha dato prova di aver imparato in fretta da Berlusconi come si gestisce una mediazione, ha riempito di promesse l’alleato — «vedrai cosa farò prossimamente» — ma non ha offerto spiragli prima del voto sulle riforme. A partire dalla disputa sulla legge: «Se lo facessi, farei prima a dimettermi».
Il leader di Ncd deve gestire il malcontento che alligna nei suoi gruppi, dove c’è chi — come il calabrese Gentile — s’infuria per la tempistica di alcuni amici centristi nella contrattazione: «Ma come, nel Pd sono al muro contro muro, e noi diamo l’immagine dello squagliamento? Lasciamo che si veda che i Democratici sono ormai due partiti, e noi diamoci da fare a costruirne uno». Perché il problema è questo, ed è un (grave) problema di linea e di prospettiva, che alimenta il movimento delle porte girevoli e il gioco di chi in Forza Italia lavora legittimamente a far saltare il tappo tra i centristi. Senza offrire in cambio nulla, beninteso: già molti parlamentari azzurri sono in over-booking per la prossima legislatura.
È questa precarietà di prospettiva dei suoi alleati — insieme all’assenza di un «piano b» dei suoi avversari — che induce Renzi a ostentare serenità, a ritenere cioè di poter gestire il Grand Hotel del Senato. Lì, nel vorticoso gioco delle porte girevoli, c’è chi fa mostra di uscire per vedere se invece avrà una stanza per dormire. «Lo dirò solo dopo», ribadisce il premier, quando — assicurato il passaggio delle riforme — stilerà la lista dei buoni e dei cattivi e assegnerà i posti di governo vacanti e quelli delle commissioni parlamentari da rinnovare. Tutto si muove ormai seguendo la logica dei numeri, perché la politica sembra latitare. Ed è proprio l’assenza della politica che potrebbe provocare un colpo di scena, e portare persino all’eutanasia delle riforme. Manca poco per sapere chi resterà incastrato nelle porte girevoli del Senato.