domenica 30 agosto 2015

Repubblica 30.8.15
L’America malata che continua ad amare più le armi che la vita
L’omicidio dei due reporter pone domande a cui è difficile rispondere
Perché pistole e fucili danno un piacere simbolico al quale non vogliamo rinunciare
di Adam Gopnik


Finalmente c’è la prova del rapporto tra aumento di possesso e stragi
Neanche questo basta. Dobbiamo ottenere una regolamentazione pari a quella delle automobili

Lontano dal mondo per il mese di agosto, in una casa senza Internet e senza televisione, con solo una sporadica ricezione telefonica quando passa il satellite, avevo, fino a mercoledì scorso, dei pensieri più o meno benigni sui possessori di armi, se non sulle armi stesse. Come ho raccontato l’anno scorso, ho appena imparato a guidare, e, con la patente in mano, o nel cassetto portaoggetti, ho guidato per la prima volta sulle tortuose stradine della città balneare dove abbiamo trascorso le vacanze negli ultimi trent’anni. Pur essendo stato per tutti questi anni contrario alla macchina e ostentatamente a favore della bici, devo ammettere che mi piace sedermi al posto di guida. Questa ebbrezza di libertà e di cose che puoi fare, questo senso di autonomia è travolgente. Sali in macchina, e vai.
Questo a sua volta mi ha fatto capire, un po’ più empaticamente, qualcosa che in precedenza avevo solo intuito, e cioè che le armi, per molti americani, sono una sorta di seconda macchina simbolica: un altro potente simbolo di autonomia e di indipendenza. L’attaccamento alle armi mostrato da tanti americani — unico tra i popoli civili del mondo, e ad un costo così pesante che il resto del mondo spesso si ritrae, sgomento — è tuttavia comprensibile a chi arriva tardi alla guida di un’automobile: avere tra le mani una forza potenzialmente letale è una droga che ti fa sentire immensamente più forte.
In mezzo a questa riflessione, mi è giunta notizia di un altro mini-massacro, questa volta in Virginia. Due cronisti sono morti, orrendamente, mentre erano ripresi da un video, e la loro morte è stata seguita da un’inquietante reazione sui social- media. Sicuramente scopriremo maggiori dettagli psicologici su questo orrore, ma ciò che è chiaro fin da ora è che questo è l’ennesimo caso in cui la pistola ha fornito un mezzo rapido per regolare i conti, un modo, per una persona emotivamente ferita, di alleviare la sensazione di essere stata offesa attraverso l’omicidio. James Gilligan, lo psichiatra americano specializzato nel campo della violenza, sostiene in modo credibile che, nella maggior parte dei casi, la violenza personale è una risposta a questi sentimenti di vergogna e di umiliazione, e l’atto violento è un modo orribile di pareggiare i conti. Questo caso sembra appartenere a questo tipo di stragi, con l’aggiunta che l’assassino sembra aver immaginato che la sua violenza fosse anche una risposta alle vittime della chiesa di Charleston.
Una delle ultime roccaforti di coloro che amano le armi — e che, nonostante l’evidenza, lasciano che il piacere di esprimere la propria autonomia prevalga su qualsiasi altra valutazione più ragionevole — era che, anche se le prove dimostravano un’altissima correlazione tra la disponibilità di armi da fuoco e il numero di omicidi per mezzo di esse, non vi era ancora alcuna prova che i massacri con armi da fuoco in ambiente non familiare fossero legati direttamente, in America, alla grande distribuzione delle armi. In realtà, come spiega dettagliatamente un articolo pubblicato su Fusion , questa roccaforte è stata sottoposta a un’attenta analisi empirica. Un nuovo studio condotto da Adam Lankford, della University of Alabama, mostra una forte correlazione tra la disponibilità di armi da fuoco e la prevalenza di massacri con le stesse. Con la stessa certezza con cui l’opera di David Hemenway ha stabilito il legame tra il numero di armi da fuoco in una società e il numero di uccisioni per mezzo di armi da fuoco, ora sappiamo che esiste una correlazione tra la disponibilità di armi da fuoco e i più importanti atti pubblici di violenza che hanno sconvolto la vita americana da Columbine in poi. Coloro che ancora insistono sul fatto che le armi non sono la causa dell’epidemia americana di violenza da armi da fuoco hanno deciso che la morte delle vittime di mercoledì, Alison Parker e Adam Ward sono il costo, da sopportare spensieratamente, dei piaceri simbolici forniti dalle armi. Dal momento che la cura è nota con certezza, coloro che la rifiutano possono solo aver deciso che godono della malattia.
Perché la verità più profonda è che le automobili non sono, o non sono soltanto, dei simboli di autonomia. Esse ne sono, in tutti i sensi, il veicolo. Le armi da fuoco, però, hanno una funzione quasi interamente simbolica. Le macchine devono essere controllate, e lo sono: chi le guida deve avere la patente e si insiste sul fatto che bisogna regolarmente dimostrare la propria attitudine a farlo; controlliamo e puniamo i guidatori ubriachi o spericolati. Se nei prossimi anni ottenessimo una regolamentazione delle armi pari a quella delle automobili, ci muoveremmo verso il vero scopo dell’autonomia, che è quello di garantire la libertà dalla paura tanto quanto la libertà di agire. I simboli sono importanti. La vita lo è ancora di più.
©The New Yorker. L’autore è pubblicato in Italia da Guanda Traduzione Luis E. Moriones