venerdì 28 agosto 2015

Repubblica 28.8.15
Enrico Giovannini, economista
“Caos sulle cifre regole non seguite. E dal Jobs Act un effetto nullo”
L’ex presidente dell’Istat ed ex ministro Enrico Giovannini: “Ogni ente deve rispettare le procedure per il controllo di qualità delle rilevazioni . Il ministero non ha spiegato quale errore è stato commesso”
intervista di Roberto Mania


ROMA. Enrico Giovannini, economista, è stato presidente dell’Istat e poi ministro del Lavoro. Ha dedicato parte dei suoi studi proprio al rapporto informazione statistica e politica. Con lui proviamo a capire cosa possa esserci dietro l’errore commesso dal suo ex ministero nell’ultima comunicazione sui contratti di lavoro.
Come spiega il pasticcio? Possibile che si tratti solo di un errore materiale?
«Non possiamo che credere a quello che ha detto il ministro e che dunque si sia trattato di un errore materiale. Evidentemente qualcuno ha sbagliato dei calcoli e quei dati sono usciti senza una verifica di qualità. Gli errori ci possono stare ed è per questo che tutti gli enti si dotano di procedure di controllo come previsto dalle linee guida sulla qualità statistica che furono stabilite quando ero presidente dell’Istat ».
In questo caso — c’è da supporre —non sono state rispettate.
Cosa prevedono le linee guida?
«Per esempio che nel caso si commetta un errore si fornisca tempestivamente la rettifica spiegando le ragioni che hanno portato all’errore ».
Il ministero ha seguito questa procedura?
«Sul sito del ministero c’è solo il testo con i dati, ma non si evidenzia la rettifica e le sue ragioni ».
Cioè non si spiegano le ragioni dell’errore?
«Non c’è nessun riferimento all’errore ».
E questo contribuisce a creare il caos informativo. Il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, ha parlato di confusione con Istat, Lavoro e Inps che forniscono in tempi diversi dati diversi.
Lei è d’accordo con questo giudizio?
«La confusione c’è indubbiamente ed è in parte legata alla diversità delle rilevazioni. Anche la stampa, però, deve essere più attenta al modo con cui diffonde le informazioni, magari ricordando ogni volta le specificità di ogni fonte».
In questo caso, però, sono stati proprio alcuni giornali a smascherare l’errore del ministero.
«Solo alcuni giornali si sono accorti dell’errore. Non posso che rammaricarmi per la soppressione dei corsi sul data journalism che avevo introdotto quando ero presidente dell’Istat. Non a caso solo il 15% degli italiani giudica buona l’informazione statistica diffusa dai media e il 43% la giudica carente».
Quali sono le differenze tra i dati comunicati dall’Istat e quelli forniti dal Lavoro e dall’Inps?
«Intanto va detto che gli unici dati che fanno testo a livello internazionale sono quelli dell’Istat sulle forze lavoro. È una rilevazione campionaria basata su centinaia di migliaia di interviste effettuate durante l’anno. Riguarda tutti i settori e tutte le figure professionali e in parte copre anche il lavoro sommerso. Quelli del ministero del Lavoro sono dati amministrativi relativi alle comunicazioni obbligatorie da parte dei datori di lavoro. Si tratta in sostanza dei contratti di lavoro, non di “teste” perché una stessa persona può stipulare nello stesso periodo più di un contratto. È un’indagine limitata al lavoro dipendente, esclusa la pubblica amministrazione e il lavoro domestico. Dunque è un sottoinsieme del campione Istat. Quelli dell’Inps hanno una copertura simile a quelli del Lavoro».
Come si può uscire da questo caos di numeri su un tema così sensibile com’è quello
del lavoro?
«L’Istat ha un ruolo fondamentale di coordinamento. E come ha già annunciato il presidente Alleva credo sia estremamente urgente una sua iniziativa».
Guardando i numeri, cosa sta succedendo nel mercato del lavoro italiano?
«È molto semplice: il numero di occupati a giugno 2015 è identico a quello di giugno 2014, il numero dei disoccupati è cresciuto di 85 mila unità, e il numero degli inattivi è diminuito di 131 mila. Questo vuol dire che l’effetto complessivo delle misure adottate per il lavoro è stato finora nullo. Aggiungo che il numero di giovani occupati (860 mila, 80mila in meno di un anno fa) è al minimo storico».
È cambiata però la composizione dei contratti.
«Sì, c’è un forte spostamento dai contratti a termine al cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, anche grazie ai generosi incentivi a favore delle imprese ».