Corriere 28.8.15
Effetti delle riforme di Renzi
La delusione dei dati reali dopo l’ottimismo Mediatico
di Riccardo Puglisi
Docente Università di Pavia
Caro direttore, per capire come sarà la prossima legge di Stabilità, cioè come cambieranno tasse e spesa pubblica nel 2015, è innanzi tutto necessario fare chiarezza sull’andamento della nostra economia, e su quali siano stati gli effetti su di essa delle riforme attuate dal governo Renzi. Tuttavia, dopo gli annunci di primavera e le promesse dell’estate vediamo giungere a passi rapidi il realismo dell’autunno. In verità a inizio aprile il governo aveva stimato per il 2015 una crescita del Pil dello 0,7% (e dell’1,4% per il 2016), nutrendo la malcelata speranza di aggiornare al rialzo questo dato a settembre, con la cosiddetta nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza). I dati deboli sulla crescita del Pil nella prima metà dell’anno e le turbolenze in Cina molto probabilmente costringeranno il ministro Padoan a mantenere la striminzita stima dello 0,7%.
Non è finita qui: purtroppo si è appreso — grazie all’ottimo lavoro di Marta Fana — che il ministero del Lavoro ha fornito dati pesantemente sopravvalutati sui nuovi contratti di lavoro creati nei primi mesi del 2015 rispetto al periodo corrispondente nel 2014. Si tratta di cifre grosse: in particolare, l’aumento netto di contratti di lavoro a tempo indeterminato nel periodo nei primi sette mesi dell’anno è pari a 117 mila circa, non già 420 mila come inizialmente — e trionfalmente — annunciato.
Questo grave incidente comunicativo si sovrappone alla continua tentazione da parte del governo a cambiare le carte in tavola a proposito degli effetti delle sue stesse riforme. Lo schema è questo: dopo una fase iniziale in cui una certa riforma viene dipinta come capace di risollevare produzione e occupazione, l’uscita di dati molto più deludenti induce il governo a presentare quella riforma come finalizzata a ottenere effetti decisamente più modesti. Quali effetti? Gli unici buoni che si possono ravvisare dentro i dati stessi.
A questo proposito, faccio notare un preoccupante parallelismo tra quanto accaduto con il bonus degli «80 euro» e con gli sgravi contributivi e il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti. Ebbene, il governo Renzi ha inizialmente presentato gli 80 euro come mossa geniale per spingere in alto i consumi totali e di conseguenza Pil e occupazione. Dopo le elezioni europee — e in presenza di dati macroeconomici molto negativi —, è partita una sistematica operazione di maquillage mediatico sugli 80 euro, che sono stati infine descritti come una poderosa manovra di redistribuzione del reddito: quatti quatti, gli effetti sulla crescita dei consumi e del Pil sono usciti di scena.
Nel caso degli sgravi contributivi a favore del nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato siamo testimoni di una dinamica comunicativa simile: gli sgravi e la riforma del mercato del lavoro sono stati inizialmente presentati come una combinazione ottima di politiche per aumentare l’occupazione. Tuttavia, di fronte a un andamento sostanzialmente piatto dell’occupazione, il fine ultimo della (costosa) riforma è diventato quello di aumentare i posti di lavoro stabili, avendo messo nel dimenticatoio l’ambizioso fine di aumentare gli occupati totali. E ora scopriamo che anche questo effetto è piuttosto modesto.
A parte il costo per il contribuente di questi bonus e sgravi (chi altri paga, se la spending review resta timida?), il governo dovrebbe tenere presente che questi giochetti ed errori comunicativi hanno l’ulteriore costo di diminuire la fiducia dei cittadini nel suo operato, e di aumentare l’incertezza complessiva, con effetti pessimi su investimenti, Pil e occupazione.