giovedì 27 agosto 2015

Repubblica 27.8.15
Lo scrittore Scott Turow
“È un reality dell’orrore tutta colpa delle armi facili”
intervista di Anna Lombardi


«SA COSA ha ispirato il killer? Lo Stato Islamico. Ha fatto quello che fanno i terroristi dell’Is. Ha voluto terrorizzare tutti col suo film fatto di odio e violenza...». Scott Turow, avvocato e per otto anni assistente del procuratore generale di Chicago, è il romanziere celebre in tutto il mondo per i suoi legal thrillers, libri come Presunto innocente , L’onere della prova e il più recente Identici (tutti pubblicati in Italia da Mondadori). Quando lo raggiungiamo al telefono, sta seguendo le news dallo schermo di un aeroporto americano. «Non riesco a capire com’è possibile che la gente, qui negli Stati Uniti, ancora non sia capace di mettere insieme due punti, tirare una linea e finalmente rendersi conto che se in America non fosse così facile procurarsi un’arma da fuoco questa storia, come tante altre, forse non sarebbe accaduta».
Lo ha appena ribadito anche la Casa Bianca...
«Obama ha ragione. Credo che questo sia l’aspetto più frustrante della sua presidenza. Bisogna davvero essere ciechi e sordi per vedere quante tragedie accadono in questo paese a causa delle armi facili. Parliamo di oggi, ma cose del genere accadono tutti i giorni. E questa, mi creda, non è nemmeno la più virulenta, sono certo che oggi da qualche parte in America, ci sono stati altri morti di cui non abbiamo notizia uccisi dalla stessa follia. Si ricorda la strage di bambini nella scuola del Connecticut? Se le cose non sono cambiate dopo quella, dubito che cambieranno mai».
La differenza è che questa volta il killer ha sparato in diretta televisiva. Cosa ne pensa?
«Sì, una sorta di Arancia Meccanica trasformata in selvaggio reality show. Perché ormai in America c’è questa cultura della celebrità televisiva, la convinzione che se qualcosa accade in televisione sia più vera del vero, più vera della vita stessa, anzi, meglio della vita reale. Sconvolgente, ma è così».
Non c’è solo l’aspetto televisivo. Il killer si è ripreso mentre sparava e ha postato il video su Facebook, ha scritto messaggi su Twitter. Non pensa che in questa vicenda anche i social media abbiano avuto un ruolo importante?
«Certo, per questo dico che ha emulato i video violenti dello Stato Islamico. Era consapevole che il suo film dell’orrore avrebbe toccato tutti, sarebbe arrivato ovunque. Tanto più oggi che tutti hanno un cellulare con una videocamera in tasca. È questo che porta al paradosso dell’assassinato che riprende in video il suo assassino, con l’ultimo screen shot che ne diffonde il volto, l’identità in diretta».
Questa vicenda per molti aspetti sembra dipingere uno spaccato delle paure e delle contraddizioni americane: le armi facili, certo. Ma anche l’invidia per il collega di lavoro, perfino l’ombra del razzismo. Che idea si è fatto ?
«In questa storia ritroviamo un mélange delle peggiori ossessioni americane. Non è certo la prima volta che in America qualcuno si procura una pistola e fa una strage perché odia i colleghi d’ufficio o i compagni di scuola. Il fatto è che non riusciamo a fare i conti con i nostri fallimenti. D’altronde basta pensare a certi programmi che passano in televisione — visto che di questa storia la tv è protagonista — e in cui io mi sono imbattuto poco fa in aereo: programmi come The Walking dead . Certo, fiction, zombie, niente di reale. Ma proviamo a riflettere su cosa trasmette mezz’ora di immersione in un programma simile: da una parte la glorificazione di una violenza inaudita. Dall’altra, nessuna attenzione al dolore delle vittime».
Il killer ha cercato di giustificare l’orrore con una motivazione razziale. È plausibile che si sentisse disciminato?
«Non so in questa storia: ma certo il razzismo è un problema reale in questo Paese. Quando Obama è stato eletto, quasi sette anni fa, tutti abbiamo pensato che le cose stavano cambiando. E sono cambiate: 50 anni fa sarebbe stato impensabile che un afroamericano di talento come lui potesse diventare presidente. Ma la verità è che gli afroamericani che hanno creduto di avere finalmente pari opportunità sono rimasti delusi. Attenzione, io non sono uno che sposa la cultura del vittimismo. Le persone sono responsabili di se stesse e delle proprie azioni. Se non vai a scuola, se non lavori duro, in America non ce la fai. Ma è una realtà che per i neri è più dura che per i bianchi».