La Stampa 26.8.15
All’inizio era la rigenerazione
Così la fede permea la politica
Lucien Jaume, studioso francese del pensiero politico del Sette-Ottocento mostra (e critica) il ruolo della religione da Robespierre a Marx
di Giovanni Orsina
Un modo per cercar di capire il mondo frantumato nel quale viviamo – e non certo il meno interessante – è quello di ripartire dall’origine dell’«esplosione» e ragionare sui tentativi di rimettere insieme i frammenti che sono stati esperiti negli ultimi due secoli. Di reinserire insomma nella storia il processo di decomposizione della modernità, ripensando la nostra come un’epoca non soltanto «liquida» ma «liquefatta»: una «liquidità» che si è venuta costruendo nel tempo per scioglimento di quanto era solido, e che da questo suo costruirsi nel tempo è stata profondamente condizionata nella sua forma attuale.
La prospettiva è tanto più interessante poiché la nostalgia d’un mondo unificato e il desiderio di ripristinarlo non sono affatto scomparsi, ma sono vivi e vegeti ancor oggi, sotto le forme più diverse: dall’integralismo islamico ai movimenti cosiddetti populisti. Ripercorrere il passato di quella nostalgia e quel desiderio è dunque necessario se vogliamo comprenderne le forme moderne. E comprenderne le forme moderne è a sua volta indispensabile se ci interessa capire che cosa potrà essere la democrazia liberale nel ventunesimo secolo.
L’ultimo libro di Lucien Jaume, uno dei massimi studiosi del pensiero politico settecentesco e ottocentesco, segue esattamente questa via: torna all’origine del processo di «liquefazione» – la Rivoluzione Francese –, per osservare come fin d’allora si sia cercato di riunificare il mondo all’insegna dell’idea di «rigenerazione». E lo fa non soltanto con intenti antiquari, ma con lo scopo esplicito di contribuire alla comprensione della nostra epoca (Lucien Jaume, Le religieux et le politique dans la Révolution Française. L’idée de régénération, Parigi, Puf, 2015, pp. 163, € 26).
Dopo l’Antico Regime
Il «credo» della rigenerazione non proviene dalla filosofia politica illuministica (la parola non è presente, ad esempio, nelle opere di Rousseau), ma dal linguaggio religioso. Nella ricostruzione che Jaume ci dà di alcune sue incarnazioni, di epoca rivoluzionaria ma non soltanto - l’ultimo capitolo del volume è dedicato a Marx -, ha una struttura ternaria. Occorre in primo luogo accoglierne i principi fondanti, che sono immediatamente evidenti ai cuori degli uomini e non hanno perciò bisogno d’essere dimostrati. Poi è necessario agire, così da riportare quei principi nel mondo. Infine, l’azione acquista caratteri politici, e dà immediatamente luogo a una nuova forma di autorità pubblica. L’idea di rigenerazione risolve così tre dei problemi fondamentali posti dalla frammentazione moderna: come si possa ricostruire una verità «oggettiva» e, dichiarandola auto-evidente, metterla al riparo dalla corrosione della critica razionale; come inserire questa verità all’interno di una storia che non è più pensata come circolare e divina, ma secolarizzata e aperta, e quindi modificabile dagli uomini; come rifondare un ordine politico legittimo dopo la crisi dell’Antico Regime.
Caratterizzata da questa struttura ternaria, nel corso della Rivoluzione Francese l’idea di rigenerazione si riempie però di contenuti assai diversi. In una prima fase, pensata da uomini come Sieyès o Le Chapelier, ha una natura individualistica, ossia si sostanzia nella liberazione dell’individuo dai vincoli pre-rivoluzionari e si abbina a un’idea formalistica di uguaglianza davanti alla legge. In una seconda fase, pensata da personaggi quali Billaud-Varenne o Robespierre, la rigenerazione passa invece per una purificazione radicale della comunità e porta verso l’uguaglianza sostanziale. Sempre di rigenerazione si tratta, però: questo concetto, secondo Jaume, tiene insieme tutta la Rivoluzione.
Ritorno all’età dell’oro
Individualistica o collettivistica che sia, a ogni modo, la rigenerazione non perde mai la connotazione religiosa originaria, ambiguamente sospesa fra passato e futuro: la speranza di costruire un avvenire perfetto che rappresenti anche il ritorno a una mitica età dell’oro. Del resto, proprio il complesso ma costante passaggio dal religioso al politico - il doppio movimento per il quale «da un lato la Chiesa e le grandi nozioni del cattolicesimo sono convocate nello spazio del politico e sono piegate al linguaggio del politico … dall’altro, e in varie forme, il politico si mette a parlare il linguaggio del religioso» (p. 143) - è fin dal titolo il tema portante del volume. Ed è anche il contributo principale che esso vuol dare alla nostra epoca: la confusione fra le due dimensioni è proseguita per due secoli e perdura ancora oggi, e andrebbe invece risolta. «Né assorbimento, né entrismo, né interferenza? Questo sarebbe “terminare la Rivoluzione”» (p. 145): una conclusione liberale, quella di Jaume, che in via di principio mi trova del tutto d’accordo. Anche se sono illiberalmente assai pessimista sulla possibilità che si realizzi.