venerdì 21 agosto 2015

La Stampa  17.8.15
Marco Bellocchio: i miei film?
Una lunga storia di interni di famiglia
Da “I pugni in tasca”, oggi restaurato, a “Sangue del mio sangue” in gara a Venezia
di Alessandra Levantesi Kezich


In una fredda a piovosa mattinata ferragostana, è stato Marco Bellocchio a chiudere la serie degli incontri locarnesi presentando la versione restaurata di I pugni in tasca: film che giusto cinquant’anni fa, proprio qui sul Verbano, aveva avuto il suo battesimo pubblico vincendo la Vela d’argento. Allora questa trasfigurata parabola familiare di un giovane borghese che, su anarcoide istanza pre-sessantottina, uccide la madre cieca e il fratello psicotico aveva provocato reazioni miste di scandalo ed entusiasmo. Oggi (ne è prevista l’uscita in sala) appare un classico, un film senza tempo di dirompente forza e freschezza. Al centro del quadro fratello e sorella Lou Castel e Paola Pitagora giocano fra loro come due belve in gabbia, ansiose di tagliare con il passato. «Gli ho fatto il provino senza dare troppe spiegazioni, non so se abbiano capito bene il copione e del resto forse non l’avevo capito neppure io, ma si sono buttati a capofitto nell’impresa. E così il resto della troupe, eravamo giovani e pieni di voglia di fare. Il film è stato girato a Bobbio in Val di Trebbia, dove la mia famiglia trascorreva l’estate: dapprima in una villetta di tipo un po’ svizzero, poi - dopo la malattia di mio padre - in un palazzotto del paese con soffitti alti e affrescati. Beh, la casa di I pugni in tasca è composta della mescolanza di queste due abitazioni e nessuno l’ha mai notato. Questo per dire che è un film assurdo, di un falso realismo. Ricordo risate isteriche quando Ale spinge giù la mamma con il dito: ma la verità è che lui, se potesse, darebbe corpo alla sua fantasticheria omicida con la sola forza della mente».
Nel suo cinema la casa è luogo centrale
«Ma sì, io sto molto in casa, la casa è un osservatorio fondamentale, è fra le pareti di casa che la follia familiare esplode e si consuma. Forse I pugni in tasca produce ancora emozioni perché non si alimenta del contesto politico-sociale: racconta un interno familiare dove, nonostante la mia famiglia non fosse così, c’è parecchio di personale».
«Sangue del mio sangue», selezionato in concorso a Venezia, è di nuovo ambientato a Bobbio e si imbastisce su un motivo biografico, la tragedia del suicidio del suo gemello da lei già adombrato in «Gli occhi e la bocca».
«Sono tornato sul tema, sono tornato a Bobbio ma su Sangue del mio sangue per ora non aggiungo altro. Aspettiamo che sia visto al Lido».
E allora parliamo di donne, i suoi personaggi femminili non sono mai scontati, hanno sempre qualcosa di imprevedibile o inquietante.
«Rispondo con un famoso titolo di Jean Eustache, La maman e la putain. Ecco, nei miei film c’è la mamma e la donna che non è la puttana, ma non è la mamma».
Ha appena finito di girare un nuovo film basato su «Fai bei sogni» di Massimo Gramellini. Cosa l’ha ispirata del romanzo?
«Sintetizzando: la mamma, per l’appunto».