venerdì 21 agosto 2015

Italia Oggi 11.8.15
Il filosofo tedesco Martin Heidegger non ha certo gasato nessun ebreo in vita sua ma, coi suoi scritti, ne ha sicuramente creato le premesse
di Diego Gabutti


Nel suo studio su Heidegger e la cospirazione ebraica, Bompiani 2015, pp. 149, 13,00 euro, ebook 6,99 euro, il direttore del Martin-Heidegger-Institut, Peter Trawny, invita a non pensare che ogni forma d'antisemitismo — compresa quella «onto-storica» dell'autore d'Essere e tempo, padre dell'esistenzialismo moderno — conduca direttamente ad Auschwitz e ne condivida per intero la responsabilità con Hitler e i suoi indemoniati.
Giusta osservazione, se si aggiunge, però, che l'antisemitismo apocalittico dei forni, delle camere di tortura, dei campi di lavoro e della soluzione finale è stato reso possibile dalle forme più morbide e per così dire letterarie dell'antisemitismo. Sono stati i pregiudizi religiosi, le allucinazioni razziali e biologistiche, le vignette dei giornali, i libelli e i romanzi d'appendice, i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, La questione ebraica di Marx (un ebreo, o meglio «l'ebreo», tanto che «per Hitler l'ebreo è sempre anche il marxista», dice Trawny) e le Bagatelle per un massacro di Louis-Ferdinand Céline a rendere l'antisemitismo familiare agli europei del XX secolo, che hanno considerato ragionevole, e persino compassionevole, l'odio per gli ebrei, usurai e cospiratori.
Tra queste forme «innocue», letterarie e prenaziste, d'antisemitismo c'era anche la filosofia tedesca: Hegel, Nietzsche e, dopo la prima guerra mondiale, Martin Heidegger. Non erano boia, ma intellettuali e pensatori, così come il guardiano dei campi, l'SS, il fucilatore d'ostaggi non era un assassino seriale, benché accoppasse i nemici della patria e dello stato senza mai nemmeno prendere fiato, ma un operaio o uno studente di leva, un laureato, un bottegaio o un impiegato di banca, un padre di famiglia, un professore di liceo, un ingegnere, uno che scrive lettere d'amore alla morosa.
All'autore di Sentieri interrotti, come agli altri antisemiti della cattedra, fu risparmiato l'orrore d'accendere il gas dopo aver chiuso la porta del forno dietro l'ultimo bambino, ma una relazione tra il suo antisemitismo e Auschwitz c'è, benchè lui non l'abbia mai ammessa, neppure nei suoi quaderni segreti, i cosiddetti Quaderni neri, dove anzi il suo antisemitismo è ribadito, e benché Trwany la «problematizzi». Heidegger, con «razza», intendeva qualcosa di diverso da ciò che intendeva il nazionalsocialismo con la stessa parola, e il suo oscuro concetto di «macchinazione» (insieme trionfo della tecnica e luogo di tutte le macchinazioni contro il popolo, la vita, il sangue e la filosofia) metteva contemporaneamente sotto accusa americanismo, ebraismo e lo stesso hitlerismo.
Ma dubito che la problematicità della filosofia heideggeriana e le disarmonie dei suoi Quaderni neri consolino anche un solo «giudeo» (o un solo civilizzato, se è per questo) dei suoi lutti. Ci sono «questioni filosofiche» che non è la filosofia a risolvere ma la storia. Di queste evidenze Heidegger non parlò mai. Come dice lo stesso Trawny: non si pretendevano scuse, ma avrebbe potuto esserci «almeno il tentativo di lasciare che il pensiero fallisca di fronte a ciò che è accaduto, oppure, forse, un'espressione del coraggio di portare il lutto».
Storia terribile della stagione più tenebrosa della filosofia tedesca, Trawley si sforza di raccontar l'heidegerrismo senza ricorrere – almeno non più di quanto sia necessario – al gergo della filosofia heideggeriana, difficile e oscuro, a tratti inesplicabile: una lingua che ha sempre scoraggiato i divulgatori. Ci sono storie che non hanno una morale. «Con la pubblicazione dei Quaderni neri», scrive Trawny, «Heidegger s'è inserito nella dolorosa storia della Shoah», benché abbia fatto di tutto per evitarlo. «Il lutto che piange ciò che è andato perduto si scontra con l'orrore del pensiero al quale questo lutto è sconosciuto. Questa «scia di lacrime» continuerà a esistere finché ci sono uomini sulla terra»