domenica 23 agosto 2015

Il Sole Domenica 23.8.15
Filosofia del diritto
L’ordine kantiano
di Mario Ricciardi


Cosa hanno in comune Kant e Kelsen a parte l’iniziale del cognome? Ben poco, almeno se bisogna prestar fede al giudizio di Norberto Bobbio. Lo studioso torinese liquidava la questione dell’influenza del primo sul secondo in modo netto: «[p]er nessuna delle tesi di Kelsen c’è bisogno, allo scopo di spiegarne l’origine e di capirne il significato, di scomodare Kant».
A nulla valevano le affermazioni contrarie dello stesso Kelsen. L’accenno al debito intellettuale verso il neo-kantismo della scuola di Marburgo era per Bobbio di scarsa rilevanza, civetteria le menzioni della Critica della ragion pura. Un peso preponderante, rispetto a tali evidenze testuali, aveva invece l’assenza di qualunque riferimento a Hermann Cohen nella seconda edizione della Reine Rechtslehre.
Lapidaria la conclusione: «Kelsen può dirsi kantiano solo nella misura in cui si ricollega alla grande dicotomia tra la sfera del Sein e quella del Sollen, che si fa risalire a Kant». Tutti sbagliano, persino i maestri. Negli ultimi decenni studi di grande rilievo, come quelli di Stanley Paulson e di Simone Goyard-Fabre, hanno mostrato l’esatto contrario di quel che sosteneva Bobbio, ovvero che l’influenza di Kant e del neo-kantismo su Kelsen è stata profonda e significativa. Essa riguarda non solo i profili epistemologici della teoria pura del diritto, ma anche alcune dimensioni della filosofia del diritto di Kant, come il legame tra l’idea di Recht (la cui felice ambiguità in tedesco è croce e delizia degli interpreti) e quella di coercizione. Un tema su cui si è soffermato Hillel Steiner in un saggio breve, ma ricco di spunti. A questo filone di studi che propongono una rilettura della teoria kelseniana del diritto alla luce di quella di Kant si aggiunge ora un libro di Cinzia Sciuto, una studiosa italiana che vive e lavora in Germania, sul “cosmopolitismo” dei due filosofi. La terra è rotonda. Kant, Kelsen e la prospettiva cosmopolitica è un lavoro interessante che, pur non essendo privo di difetti, può fungere utilmente da punto di partenza per lo studio di una tematica che, oltre a essere di grande interesse teoretico, è di stringente attualità. L’autrice allude, nel titolo, a un noto passaggio di uno degli scritti politici di Kant, in cui il filosofo afferma che «[s]e la [superficie terrestre] fosse un piano infinito, gli uomini su di esso potrebbero disperdersi così da non venire affatto in comunità tra loro, e questa quindi non sarebbe una conseguenza necessaria della loro esistenza sulla Terra». Da questa premessa deriva, secondo la Sciuto, la tesi che il «punto di vista cosmopolitico» non è arbitrario, non deriva da una scelta politica o morale, ma è dettato da una necessità concettuale «indispensabile alla comprensione dell’intero ambito dell’esperienza umana che va sotto il nome di diritto». Questa tesi kantiana sarebbe, per la studiosa, anche il punto di partenza della teoria del diritto di Kelsen, nell’ambito della quale il diritto internazionale ha, come è noto, un ruolo fondamentale. In un’epoca in cui la rotondità della Terra si manifesta in modi diversi e inquietanti, un ripensamento delle premesse normative della convivenza civile tra popoli è di urgenza stringente. Dobbiamo essere grati a Cinzia Sciuto per aver dato un contributo appassionato a ricordarci la ricchezza e la profondità del pensiero di Kant, e del suo epigono novecentesco, e il contributo che essi ancora oggi possono dare a chiarirci le idee.
Cinzia Sciuto, La terra è rotonda. Kant, Kelsen e la prospettiva cosmopolitica, Mimesis, Milano, pagg. 156 € 14,00