venerdì 21 agosto 2015

Il Sole Domenica 19.7.15
Ernst Jünger
Lo sciamano della scrittura
di Gennaro Sangiuliano


Può apparire una mera astrazione filosofica quella di interrogarsi sulla relazione fra metafisica e tecnica mentre, invece, il concretizzarsi della società di massa e soprattutto l’affermarsi del «nichilismo» come segno distintivo del nostro tempo rimandano inevitabilmente a questo confronto. Basti verificare quanto sia pervasivo quello che Nietzsche chiamerebbe «nichilismo attivo» e che nell’epoca attuale è riconoscibile in quel manto pervasivo di ipocrisie collettive e retoriche permanenti efficacemente sintetizzare con l’espressione «politicamente corretto». Il rapporto tra metafisica e tecnica fu a lungo il tema di un confronto serrato fra Ernst Jünger e Martin Heidegger, rievocato con puntualità in uno dei capitoli del saggio, titolo secco: Ernst Jünger, curato da Luigi Iannone, edito da Solfanelli, che raccoglie gli scritti di ben trenta autori che analizzano la lunga e multiforme attività del filosofo scrittore, morto ultracentenario nel 1998. Jünger, uno sciamano della scrittura – come lo definisce Iannone – che si muove in uno stadio intermedio tra filosofia pura e letteratura ma che proprio per questo, con la sua opera immensa, riesce ad affermare una dimensione immaginativa capace di cogliere la realtà molto meglio di alcune teorizzazioni astratte.
Le molti dimensioni di Jünger partono da quella che è, forse, la sua opera più nota In Stahlgewittern (Nelle tempeste d’acciaio), tradotta col titolo Tempeste d’acciaio, sintesi essenziale quanto cruda della sua esperienza nella Grande guerra di massa che lo scrittore conobbe in prima persona sul fronte occidentale. Questo libro che fu definito l’anti-Remarque, per Gide costituisce il «più bel libro di guerra mai letto» e per Borges «un’eruzione vulcanica». Una narrativa di materiali che non lascia spazio al lettore, quasi una sequenza cinematografica di azioni di guerra. Elena Alessiato scrive di «dimensione della vitalità, della forza biologica e primordiale, della corporaneità, colte nella loro più basica immediatezza». Jünger è nel Novecento quello che erano stati nel secolo precedente Fichte e Nietzsche, la «rivendicazione costante dell’eccezionalità della natura tedesca», di fronte alla quale se Mann aveva tentato di «riscoprire l’interiorità autenticamente tedesca», lo scrittore di Tempeste d’acciaio conferisce una forma di spirito all’elemento nazionale. Tuttavia, se la sua riflessione sulla guerra ha segnato un’epoca questo scrittore è molto di più. È per cominciare il narratore dell’avventura geografica, cioè la scrittura dei luoghi, della natura, della montagna, dei fiumi, dei laghi, delle città, ambiti umani che devono essere interpretati. «Vagando per le strade - scrive Andrea Marini - noi non incontriamo mai solamente dei passanti, delle vie, degli edifici, delle vetrine; troviamo altresì fantasie, prospettive, idee, simboli, immagini, storie». Passeggiare tra le fenditure, fare esperienza nel mondo, aiuta a rafforzare il proprio pensiero, a interpretare la molteplicità danzante del mondo.
L’altro pilastro del pensiero di Jünger, centrale nel suo sistema, è Der Arbeiter (L’Operaio), testo profetico sulla modernità, dove l’uomo Operaio, inteso in un’accezione antitetica a quella marxista, è il protagonista della rivolta interiore e spirituale, chiamato alla missione di rompere «le sbarre di quella gabbia di acciaio della razionalizzazione occidentale». Configura, non senza qualche profezia, il rapporto tra l’uomo, la tecnica, il lavoro, elementi dinamici della vita contemporanea, che non vanno valutati solo in una dimensione economica e salariale. Il mondo è piombato nel disincanto, perché il tipo umano borghese ha accettato il contesto della gabbia d'acciaio, l'Operaio è chiamato ad assumere su di sé un nuovo destino, il dovere, scrive Simone Paliaga di «costruire un mondo diverso da quello ipotizzato dal processo di razionalizzazione». Ci si interrogherà ancora a lungo «sulla riduzione negativa» della condizione contemporanea. Martin Heidegger giunge a connotare il nichilismo «come il processo storico attraverso cui il soprasensibile viene meno e vede annullato il suo dominio, e di conseguenza l’ente stesso perde il suo valore e il suo senso». Carl Schmitt pose la famosa distinzione tra Kultur e Zivilisation, la prima intesa come forma attiva e vitalistica della natura dei popoli, la seconda cultura formale che prescinde dal valore. Ecco quindi che per Jünger «il tramonto dei valori corrisponde all’incapacità di produrre, o anche solo di concepire tipi superiori e sfocia nel pessimismo. Questo si trasforma in nichilismo quando l’ordine gerarchico viene rigettato». La dimensione nichilista più evidente è lo «specialismo tecnico e la comunicazione compulsiva», che diventano, secondo l’efficace definizione di Renato Cristin, «veicoli del nulla». Un condensato di politicamente corretto, che Jünger definirebbe punto zero del nichilismo. L’essenza di questa Reduktion, secondo l’affermazione jüngeriana, è, infatti, una «strozzatura progressiva», che, come annota Cristin, «si manifesta come semplificazione, in tutte le direzioni e in tutte le applicazioni, restringimento della complessità qualitativa dell’esistenza a denominatori comuni». La riduzione finisce inevitabilmente anche per essere una perdita di libertà e individualità, in un mondo dove le macchine e dove gli automatismi, anche dei rapporti interpersonali, denotano lo sfruttamento e soprattutto l’imporsi di un Leviatano, tiranno interno ed esterno.
Anarchico, conservatore nel senso di paladino della rivoluzione conservatrice, Jünger ebbe grandi estimatori, non solo in tutta la filosofia. Helmut Kohl gli faceva visita periodicamente, con puntualità tedesca e nonostante gli impegni della politica trascorreva con lui intere giornate. Lo stesso fecero François Mitterrand, che lo citava nei suoi discorsi, e lo spagnolo Felipe Gonzàles. Quando nel 1995 Massimo Cacciari invitò Jünger a Venezia per celebrare in un convegno i suoi cento anni si scatenarono polemiche accese, per via dell’ammirazione che alcuni nazisti avevano per i suoi libri. Polemiche a cui gli estimatori (di destra e molti di sinistra) dello scrittore risposero ricordando i suoi scritti contro l’antisemitismo e il razzismo, che adirarono non poco Goebbels. E ancora il coinvolgimento di Jünger nell’attentato a Hitler, attività cospiratoria per la quale rischiò la fucilazione. Ernst Jünger morirà dopo essersi convertito al cattolicesimo, dopo un percorso al quale non fu estraneo Karol Wojtyla.
Luigi Iannone (a cura di), Ernst Jünger, Edizioni Solfanelli, Chieti,
pagg. 544, € 30,00