giovedì 27 agosto 2015

Il Sole 27.8.15
Riforme. L’incognita emendamenti
Dopo l’«avvertimento» di Grasso, Renzi va avanti e si prepara alla conta
di Barbara Fiammeri


ROMA Il voto sulla riforma del Senato potrebbe rivelarsi lo spartiacque della legislatura. Matteo Renzi ha già detto che non ci sarà nessuna marcia indietro sull’elezione indiretta dei senatori. Il premier è pronto ad andare alla conta perché, come avverte il renziano Andrea Marcucci, se saltano le riforme si va dritti a votare. Un muro contro muro nel quale un ruolo rilevante lo riveste il presidente del Senato Pietro Grasso, che sarà chiamato a decidere sulla emendabilità dell’articolo 2, quello che potreb be riaprire la partita sull’elettività dei senatori.
Grasso auspica che «si trovi una soluzione politica», perché «se ciascuno mantiene le sue posizioni la maggioranza potrebbe non esserci». Parole che non sono piaciute al Pd, indisponibile a toccare la norma che considera il cuore della riforma. La verifica arriverà a breve. L’8 settembre la commissione Affari costituzionali presieduta da Anna Finocchiaro tornerà a riunirsi e sono in molti a prevedere che, vista la mole di emendamenti (oltre 500mila), il testo del provvedimento arriverà direttamente in aula. Toccherà allora a Grasso decidere sull’ammissibilità degli emendamenti. Una decisione che potrebbe creare un cortocircuito istituzionale visto che la presidente Finocchiaro ha già fatto capire che non ritiene possibile rimettere in discussione il principio dell’elezione indiretta dei senatori, su cui entrambi i rami del Parlamento si sono già espressi.
Nel Pd sono convinti che i voti non mancheranno. E non solo perchè potrebbe ridursi il numero dei dissidenti ma anche perché il timore di una fine anticipata della legislatura preoccupa anche una parte significativa dell’opposizione. Lo sa bene anche Matteo Salvini, che non a caso ieri con un’intervista a Panorama ha rilanciato l'alleanza con Silvio Berlusconi, proponendogli un vero e proprio ticket per «mandare a casa Renzi», in cui il leader del Carroccio avrebbe lo scettro per la premiership e il Cavaliere quello di responsabile della politica internazionale («la sua esperienza mi sarebbe molto utile»).
Al momento l’obiettivo di Salvini sono anzitutto le candidature per le prossime amministrative e in primis la scelta del candidato sindaco di Milano che la Lega vuole aggiudicarsi. Tant’è che Salvini ha anche cancellato la querelle a sostegno delle primarie, che nei giorni scorsi lo aveva contrapposto a Berlusconi, sottolineando che «se c’è l’accordo sono inutili».
Ma c’è anche un’altra ragione per spiegare l’uscita del segretario leghista e la scelta della tempistica lo conferma. Ed è proprio il voto sulla riforma del Senato. Salvini teme le oscillazioni di Berlusconi e i timori di Fi per la fine anticipata della legislatura che agli azzurri costerebbe non pochi scranni parlamentari. Di qui la proposta politica per rinnovare l’alleanza tra Lega e Fi. È la prima volta che Salvini si mostra così disponibile anche nei toni, senza proclami o aut aut. Certo sull’Europa le distanze permangono ma sul resto, assicura, c’è piena sintonia e «se non si inventano il quarto esecutivo non eletto, l’anno prossimo si vota». Quindi «serve l’unità del centrodestra»
Berlusconi non replica. Lascia a Brunetta («Ben arrivato Salvini!») e Gelmini il compito di apprezzare pubblicamente le parole del segretario della Lega. Il Cavaliere non vuole farsi irretire. La partita su Milano è tutta da giocare. E anche sul tavolo nazionale non ha intenzione di passare la mano. A breve però dovrà venire allo scoperto. Se nel Pd non si ricomporrà la frattura, l’atteggiamento di Fi potrebbe rivelarsi determinante per il passaggio della riforma del Senato. Lo sa Berlusconi che sta valutando le mosse di Renzi.
Il premier vuole il via libera al ddl costituzionale prima che a Palazzo Madama cominci la sessione di Bilancio: quindi entro settembre. Un forcing che sta mettendo a dura prova anche la tenuta di Ncd, partito di Angelino Alfano. «Ci sono senatori che sono pronti anche a rischiare la fine anticipata della legislatura», ammette un autorevole dirigente dei centristi. Ma è probabile che siano più coloro che temono il ritorno alle urne, soprattutto tra i novizi: per prendere la pensione da parlamentare servono almeno quattro anni e mezzo di legislatura.