mercoledì 26 agosto 2015

Il Sole 26.8.15
La sfida per la Cina è gestire la transizione
di Giorgio Barba Navaretti


La Cina in questi giorni di caos è un porto delle nebbie. E la nebbia non fa bene all’economia. La principale fonte di confusione è la logica con cui vengono prese le decisioni di politica economica. Negli anni di grande espansione i mercati avevano una fiducia quasi cieca sulla potenza dell’economia cinese e di riflesso di tutti i Paesi emergenti.
Questa fiducia non derivava solo dalla dimensione straordinaria dei mercati asiatici, dalla capacità di coniugare la transizione verso la modernità con tassi di crescita strepitosi proiettati all’infinito, dagli immensi surplus della bilancia commerciale, dall’invasione delle merci cinesi in Europa e negli Stati Uniti, dagli straordinari profitti che le imprese occidentali riuscivano a fare laggiù. Insomma non derivava solo dai tangibili e concreti risultati economici. Derivava anche dalla fiducia nella capacità del governo cinese a tenere il treno dello sviluppo in carreggiata. Un governo che faceva tutto quanto possibile e nel miglior modo possibile per garantire l’espansione economica del Paese e la sua rapida ascesa a diventare la prima economia del mondo.
Ora, la Cina in effetti lo è diventata o quasi, in stretta gara con gli Stati Uniti. E dunque quel che succede lì ha una rilevanza globale. Ma allo stesso tempo i mercati stanno scoprendo che il re è nudo. Ossia che l’Autorità cinese riusciva a tenere il treno sui binari fintanto che questo correva a tutto vapore e che è molto meno in grado di farlo ora che il motore perde dei colpi.
Insomma quel tocco magico su cui tutti contavano, per cui la Borsa poteva continuare ad apprezzarsi, anche se tutti i ragionevoli indici di redditività non lo giustificavano e il renmimbi a rimanere relativamente stabile, a prescindere dagli afflussi e deflussi di capitali, aveva perso la sua magia. I mercati iniziano a pensare che la capacità di mettere comunque le cose a posto non ci sia più.
Ora, nelle economie mature siamo tutti abituati allo scetticismo verso la mano pubblica. Nessuno crede nell’onnipotenza della politica economica, a parte in alcuni passaggi cruciali come il “whatever it takes” di Mario Draghi. Ma sappiamo anche che i mercati sono in grado di lavorare nonostante la politica. Certo, hanno bisogno di regole e sostegno, ma hanno in ogni modo una forza propria che prescinde dalla mano pubblica.
In Cina non è così. La commistione tra economia di mercato e di comando rende il fallimento della politica economica molto più grave che nelle economie occidentali.
Ma perché la politica cinese dovrebbe essere in crisi ora che le cose vanno male? È un problema momentaneo di incapacità dei politici? Di indecisione su come rilanciare una congiuntura mai vista prima? E ora forse con l’intervento espansivo di ieri i mercati possono pensare che la lezione sia stata capita e che si possa tornare verso la ben nota normalità? Insomma che si sia trattato di un’ottusità momentanea?
In parte forse. E l’enorme montagna di riserve valutarie del Paese è una munizione potentissima per ristabilizzare l’economia, per evitare che tocchi il fondo o almeno per facilitare un rallentamento morbido. Dunque ben venga l’azione espansiva avviata ieri, come auspicato su queste colonne da Roberto Napoletano.
Ma il problema non è un momentaneo disorientamento. La vera difficoltà per la politica economica cinese è come completare la transizione dell’economia dal comando al mercato, come raggiungere una piena integrazione nei mercati internazionali, come favorire la transizione dell’industria dal basso costo del lavoro alla tecnologia avanzata, come rafforzare la domanda e i consumi interni riducendo l’incidenza delle esportazioni. Tutti questi sono passaggi che richiedono una modifica radicale dell’approccio di politica economica, riforme strutturali e istituzionali che non è chiaro come e se il Paese riuscirà a fare con un regime politico non democratico e fortemente centralizzato.
È questa la trasformazione profonda su cui i mercati si interrogano. È una trasformazione che richiede abilità e strumenti non consueti. Un buon esempio sono stati gli interventi sul renmimbi le scorse settimane. La svalutazione è stata accompagnata da una revisione della politica di fissazione del cambio molto più vicina alle dinamiche del mercato. Ma quando il mercato ha iniziato a premere troppo, la Banca centrale è intervenuta pesantemente per stabilizzare il tasso di cambio. Il che ha ricordato a tutti quanto la convergenza ai mercati possa essere insidiosa e un’opzione non perseguibile con facilità e non sempre desiderabile.
Dunque, se il mercato è necessario, la crisi di questi giorni dimostra che per la Cina può essere a volte e per ora impossibile. Il che, certo, non spazza via la nebbia.