venerdì 28 agosto 2015

Il Fatto 28.8.15
Gli Einstein italiani trucidati dai nazisti
di Ferruccio Sansa


L’armadio della vergogna e Albert Einstein. La vita del genio del XX secolo ha incrociato uno dei capitoli più neri della storia italiana. È la cronaca di un eccidio rimasto senza giustizia, coperto da insabbiamenti raccontati in un libro: Il sangue degli Einstein italiani di Camillo Arcuri (Mursia). Un episodio avvenuto a Rignano, il paese di Matteo Renzi, proprio in una notte di inizio agosto, come queste. Settantuno anni fa, abbastanza per dimenticare. O, finalmente, per ricordare. La famiglia di Robert Einstein, certo, ma anche quelle vittime del nazifascismo che, come svela Arcuri, furono lasciate senza giustizia per non umiliare la Germania e per coprire i criminali che poi passarono a servire gli alleati. Per raccontare questa storia si può partire da uno degli ultimi capitoli. Il carteggio desecretato e riportato da Arcuri tra il ministro degli Esteri di allora, Gaetano Martino, e il ministro della Difesa, Paolo Emilio Taviani: “Le prove raccolte già a partire dall’autunno 1944 dalle autorità militari americane e inglesi – scrivevano testualmente, si era trail1953eil1954– non sono state prese in considerazione dalle Autorità di Roma per un riguardo politico nei confronti della Germania, entrata nella Nato nel 1955”. Insabbiameno, nella migliore tradizione italiana. Dopo l’apertura“ dell’armadio della vergogna” molti processi furono celebrati, ma restarono senza verità decine di stragi compiute dai tedeschi, soprattutto all’estero. Cefalonia, prima di tutte. Così nessuno saprà mai chi ha ucciso la moglie e le figlie del cugino di Einstein. Punite per compiere la vendetta di Hitler contro il genio che oltre a intuire i segreti della relatività e dell’atomo aveva anche capito in tempo la crudeltà del nazismo. Albert Einstein ha vissuto in Italia, tra Pavia e Milano. Suo padre e il fratello erano soci. Poi la piaga dell’antisemitismo contagiò l’Italia. E le sorti di Albert e di suo cugino Robert si separarono. Albert non trovò posto in Italia, addirittura si narra del suo tentativo di diventare ricercatore universitario bocciato da Benito Mussolini in persona. Fu la salvezza. Ma Robert rimase. Si dedicò a un podere, l’unica attività concessa agli ebrei; si rifugiò nel paese alle porte di Firenze dove condivideva la sua villa con un comando tedesco. ERA L’INIZIO dell’agosto 1944. Gli anglo-americani stavano risalendo la Penisola, i tedeschi si erano ritirati da poche ore. Ma Robert capì che non poteva ritenersi ancora al sicuro: si rifugiò nei boschi, sperando così di mettere al sicuro se stesso, ma soprattutto la moglie Nina (56 anni) e le figlie Luce (26) e Ciccì (18). Non avevano motivo di temere, non erano ebree, ma valdesi. Ma la colpa degli Einstein era un’altra: essere parenti dell’odiatissimo genio. Per ossequio al Führer dovevano essere uccisi. Il 3 agosto a Rignano si respirava un’aria sospesa tra terrore e speranza: i tedeschi erano partiti, gli alleati ancora non c’erano. In quel silenzio nella villa della famiglia piombò un manipolo di nazisti. SS, Gestapo o carristi, non lo sapremo mai. “Qui famiglia Einstein? ”, fu la prima domanda. Poi la rabbia esplose con la scoperta che il capofamiglia era fuggito. Ma non poteva essere lontano. Nina, la moglie, fu condotta dietro la casa, fu costretta a urlare, a chiamare il marito per farlo uscire dai boschi. Robert sentiva tutto, cercò di arrendersi, ma fu trattenuto a forza da altri fuggitivi che temevano di essere scoperti. Così i nazisti si sfogarono su tutto quello che portava il nome di Einstein: la moglie, le figlie, tutte uccise a colpi di mitra. Poi la casa, devastata, data alle fiamme. Non rimase niente, nemmeno la pietà: il parroco si rifiutò di benedire le salme delle vittime. Il mattino dopo, Robert uscì dal bosco, impazzito dal dolore: “Sono io Einstein, uccidete me”, urlava agli ultimi tedeschi che se ne andavano. Ma non trovò nessuno che lo uccidesse. Si suicidò un anno dopo: il 13 luglio 1945, il suo anniversario di matrimonio. Si era accorto che nessuno avrebbe pagato per quel massacro. Aveva ragione. Poi, come ricostruisce Arcuri nel suo importante libro, arrivarono l’armadio della vergogna, la commissione parlamentare. Fino al 2008 quando la Procura militare della Spezia tentò un processo, anche con la collaborazione di Valdo Spini. Impossibile trovare risposte. L’unica cosa che si sa è che i colpevoli avevano una divisa nera, come le truppe scelte di Hitler. Archiviazione “essendo rimasti ignoti gli autori dell’omicidio plurimo” è scritto oggi sul fascicolo. Per “riguardo” alla Germania. È accaduto per l’eccidio della famiglia Einstein e per altri episodi che nulla avevano a che fare con la guerra. Settantuno anni fa, una notte come queste.