venerdì 21 agosto 2015

Corriere La Lettura 9.8.15
La musica dell’Homo sapiens inizia centomila anni fa con i canti polifonici di boscimani e pigmei
di Vincenzo Santarcangelo


La musica è dappertutto, «si spande lontano come gli odori» scriveva Kant ne La Critica del Giudizio . Eppure definirla, capire come e dove abbia origine è missione complicata e probabilmente impossibile. Da millenni ci si arrovella in una ricerca inesausta che conduce per asintoto in profondità e agli albori della storia dell’umanità . Perché è così che abbiamo speranza di avvicinarci a una risposta di qualche tipo, trivellando nell’animo e viaggiando con una macchina del tempo immaginaria che conduce verso un’epoca che è collocabile orientativamente da 76 mila a oltre 100 mila anni fa.
Fuor di metafora, la macchina del tempo è l’incredibile numero di registrazioni audio e video a cui è possibile accedere su Sounding the Depths (soundingthedepths.blogspot.com), sito che Victor Grauer, compositore e musicologo americano allievo di Alan Lomax, ha curato da febbraio ad agosto 2011 e che è diventato un libro recentemente pubblicato in italiano con il titolo Musica dal profondo. Viaggio alle origini della storia e della cultura (Codice Edizioni, traduzione di Brunella Martera e Gabriele Ferrari, pp. 255, e 18,90).
La ricerca procede per asintoto, si diceva: questo significa che non arriveremo mai a una risposta definitiva. E però la musicologia tradizionale qualche risultato lo ha certamente conquistato. Le prime fonti scritte che attestano l’uso della pratica polifonica risalgono all’Alto Medioevo. Le sorti sono sempre magnifiche e progressive , e il musicologo ci spiega che dal semplice si passa al complesso con un percorso lineare che dalla monodia conduce alla polifonia (primo assioma). È l’ennesima conquista dell’Occidente. Con altrettanta convinzione — secondo assioma — si fa iniziare la storia della musica con le civiltà del bronzo del Vicino Oriente. Terzo assioma: l’ inventio della notazione coincide con l’irruzione nel mondo dei suoni della scrittura. I Neumi , segni che sono gli antenati delle moderne note, si trasformano da pro-memoria — mezzo per trascrivere musica preesistente, mezzo di conservazione e trasmissione — a supporto e impetus per la creazione. E se c’è traccia scritta è più facile legittimare l’ inventio — la musica scritta nasce nel Medioevo. La Scolastica, tramite la riscoperta di Aristotele (e il suo metodo quantitativo) continua tuttora a influenzare il modo in cui gli occidentali scrivono, ascoltano e pensano la musica, quell’entità circoscritta in un perimetro dorato al di là del quale c’è il non -occidentale — ossia tutto il resto del mondo. Situazione paradossale se si considera che la musica non ha un posto preciso nel cursus studiorum delle prime Università, sebbene entri a far parte del quadrivium di quella parigina nel XIII secolo. Chi ha il lusso di poter studiare, tra l’altro, teoria della musica deve confrontarsi con i Problema physica di Aristotele e con la Logica Vetus e il De Istitutione Musica di Boezio.
Grauer mette in discussione questi assunti: servendosi della genetica molecolare, della paleoantropologia, della linguistica dà voce — e dunque suono — a Homo Sapiens . Per Grauer la storia della musica non inizia con gli Egizi e i Babilonesi, ma con i canti polifonici dei pigmei e dei boscimani — e dunque, come detto, dai 76 mila a oltre 100 mila anni fa. Nonostante vivano in regioni completamente diverse dell’Africa, regioni separate da migliaia di chilometri e con ambienti totalmente differenti, pigmei e boscimani condividono un linguaggio musicale peculiare — si ascolti, per credere, anche solo una manciata degli esempi disponibili sul sito.
Il discorso sulla polifonia è la chiave di volta del progetto di Grauer, nota Stefano Zenni nella prefazione all’edizione italiana del libro. La polifonia combina due o più voci tenute insieme simultaneamente, è un atto di resistenza alla «discordia delle voci», per parafrasare Henri Michaux, ma anche la campana che annuncia una duplice disgrazia: da un lato, il linguaggio musicale è ricondotto esclusivamente a vicende interne alla musica europea; dall’altro quando l’etnomusicologo parla, nel tentativo di integrare forme espressive arcaiche in una visione complessiva più ampia, lo storico della musica non vuole o non sa ascoltare.
Grazie a una quantità impressionante di dati, Grauer prova allora a delineare «un ipotetico modello del panorama culturale nel quale viveva il nostro antenato comune più recente» — il progenitore di tutti gli esseri umani viventi e vissuti, come la genetica delle popolazioni ha dimostrato. E se la musica di pigmei orientali, pigmei occidentali e boscimani è specchio dei valori sociali e culturali fondamentali che governano le loro società, il passaggio successivo è quasi una conseguenza logica: l’impronta delle migrazioni out of Africa è rintracciabile ovunque, dal Sud Est asiatico al Pacifico, dall’America Centrale all’America del Sud. La musica nera era ed è ovunque. Oggi davvero si espande lontano nell’aria come gli odori: hip-hop e r’n’b in qualsiasi centro commerciale, jazz annacquato nei cocktail bar à la page .
Nel novembre 1961 esce Africa/Brass del John Coltrane Quartet. La critica rimane spiazzata, lo elogia, ma con moderazione. Il critico bianco Martin Williams scrive sulla rivista «Down Beat»: «Se si guarda all’evoluzione melodica o anche a una qualche forma di ordine tecnico o di logica, potremmo non trovarne alcuna». I fatti hanno dato ragione a Coltrane: è in Africa che dobbiamo andare a cercare le origini della musica.