venerdì 21 agosto 2015

Corriere La Lettura 2.8.15
Annales, errori di lunga durata
L’analisi delle sedimentazioni profonde ha condizionato ricerca e successi accademici: è venuta l’ora di riscoprire la storia dei fatti
di Giuseppe Galasso


In materia di storiografia si è visto, se non tutto, certamente sempre di più a partire dalla metà del Novecento. Un motivo è stato, però, chiaro fin dall’inizio, e in generale è rimasto poi fermo. Bisognava farla finita con la storia politica. Gli Stati, le loro relazioni e i loro trattati, le guerre e le relative variazioni geopolitiche, le loro vicende interne nell’eterna lotta per il potere e i loro protagonisti, e insomma tutta la vasta materia che va sotto il nome di «politica», apparve come una materia obsoleta. La storia aveva cose più importanti a cui badare.
La sociologia, la demografia, l’antropologia, le culture (in senso socioantropologico), i valori quantitativi dei mille aspetti del corso storico, le «strutture» dei mondi in esame, nonché psicologia, psicoanalisi, devianze, marginalità, emarginazioni: non si finirebbe più a elencare le cose che espellevano dal quadro storiografico la politica con le sue tematiche (si diceva) ripetitive e superficiali.
Sarebbe sciocco non riconoscere che per questi «nuovi» percorsi si sono avute acquisizioni storiografiche di grande valore. Ma che cosa era la deprecatissima «storia politica»? Ancora oggi ci si stupisce nel constatare la fortuna di una visione tanto distorta di quel che si deprecava. Dagli antichi greci ai modernissimi europei e americani del XX secolo la «storia politica» ha conosciuto sviluppi e versioni, metodi e tecniche, forme e tipologie tanto varie da attestare un grande dinamismo dei suoi modelli attraverso il tempo.
Questa grande diversificazione e dinamicità veniva destinata al dimenticatoio nella polemica contro l’ histoire événementielle , la storia dei fatti, la storia «pragmatica» (storia dei prágmata , ossia, appunto dei fatti); contro l’ histoire-bataille , la storia scandita dai grandi eventi militari, visti come eventi tipicamente momentanei, secondo la facies attribuita alla storia politica.
Si sa che di tutto questo sconvolgimento si vede la matrice e il motore nella rivista francese «Annales» (come hanno ricordato Giovanni Brizzi su «la Lettura» #190 del 19 luglio e Marco Meriggi sul numero #191 del 26 luglio). Si è parlato, perciò, di «rivoluzione storiografica delle “Annales”»; ed è giusto perché quella rivista ha svolto al riguardo un ruolo fondamentale di antesignana. Solo occorrono due osservazioni. La prima è che alle «Annales» si è accompagnata tutta una serie di altri protagonisti della stessa vicenda storiografica di qua e di là dell’Atlantico. La seconda è che una «rivoluzione storiografica» come questa non è un fatto di natura e ambito puramente disciplinare. La storiografia è stata in ciò lo specchio, specie in Europa, di una grande crisi o trasformazione dei valori, che richiede tutto un altro e ben più complesso discorso.
Alle «Annales», e in particolare a uno dei suoi massimi rappresentanti, Fernand Braudel, si fa, comunque, risalire il discorso sulla longue durée quale dimensione essenziale e profonda della storia, opposta alla «breve durata», ritenuta propria della storia événementielle (ma Braudel fu, invero, anche apprezzato storico di imperi e di grandi sovrani). La durata lunga è quella delle sedimentazioni storiche che determinano e condizionano mentalità e comportamenti degli uomini e che modellano le società umane e i loro costumi. Perciò la lunga durata è anche ritenuta la dimensione più propriamente umana della storia, la sua dimensione con cui l’uomo ha più essenzialmente a che fare, perché è quella per cui egli è qual è, con i suoi condizionamenti morali e materiali, di mentalità e di comportamento. Ma davvero è così?
Certamente no, e già innanzitutto perché è nella breve durata che l’uomo fa tutta la sua esperienza di sé, del mondo, della vita. Pur con i condizionamenti e il peso degli elementi della lunga durata, è nella breve durata che vi sono le guerre, si variano le leggi e le tasse, si amministra la giustizia, si allacciano le relazioni affettive e sociali fra le quali si vive, si determinano catastrofi naturali, variano la congiuntura economica e i prezzi, si cambia di abitazione o di lavoro, c’è la possibilità del meglio o del peggio, mutano o non mutano gusti e preferenze, si formano e durano o non durano le famiglie, e così via per tutta l’imprevedibile e illimitabile serie delle vicende che segnano la vita dell’uomo.
Che cosa è l’uomo al di fuori del quadro di queste vicende? Del condizionamento dei fattori di lunga durata nulla si percepisce. Dell’essere chiamato alle armi, del dover pagare una nuova tassa, di un cambiamento nella legge penale o civile, dell’aumento dei prezzi di certi prodotti o servizi, delle conseguenze di un terremoto o di un’eruzione o di uno tsunami, e di innumerevoli altri fatti piccoli e grandi del vivere personale e sociale l’uomo partecipa, invece, profondamente, sentendosi al centro, in un modo o nell’altro, protagonista o vittima, soggetto o oggetto, per fortuna o per disgrazia, di questa scena. Che è la scena della breve, e spesso brevissima, durata, in cui è perciò la più autentica e immediata dimensione di ciò che è umano.
E così è fino alle dimensioni minime della vita politica e amministrativa. Si pensi al mutamento dei regolamenti edilizi o a un rivoluzionamento dei sensi di marcia o a una nuova normativa per la raccolta dei rifiuti nel luogo in cui viviamo: tutti «eventi» addirittura banali, materia storica che può apparire di infimo ordine o di nessun rilievo, ma circostanze di cui è ogni giorno intessuta l’esperienza dell’uomo e del cittadino, la dimensione più concretamente umana del suo passare nella storia, e che di storia è quindi materia degnissima come quella degli «eventi» maggiori sopra accennati.
Non è finita, però, così. Altri «eventi» sono di ben altro rilievo. Alessandro Magno in pochi anni abbatté quello persiano e fondò un nuovo impero, nel cui quadro maturò l’ellenismo, ossia una tappa decisiva nella storia della civiltà occidentale. Giulio Cesare in altrettanto tempo conquistò la Gallia e la portò nei confini dei possedimenti romani, preparando un presupposto essenziale del Paese e della nazione che sarebbero stati alla ribalta della storia europea post romana.
Sono vicende storiche della più schietta marca politica, militare, insomma événementielle , che non esaurirono la propria eco nel tempo del loro breve corso. Proprio esse, infatti, hanno posto le premesse e determinato le condizioni del radicarsi di molti fattori delle lunghe durate ravvisabili nella storia posteriore. Esempi illustri, dunque, di rapporti tra breve e lunga durata, che non si penserebbero di primo acchito.
Sino a poco tempo fa di storia politica e di breve durata eravamo rimasti in pochissimi a parlare. Da un po’ di tempo in qua si è, invece, parlato di riscoperta della storia politica, e si sono avute parecchie novità, che però non sembrano aver scosso davvero e fino alle radici la damnatio alla quale la storia politica e pragmatica fu consegnata dalla metà del Novecento in poi. Un’autentica, profonda revisione al riguardo appare ancora largamente da fare. E, se pare che la storia politica scriva e riscriva sempre degli stessi «eventi» e circostanze, su cui sembrerebbe essersi già detto tutto, ci si faccia una ragione anche di ciò. Quello scrivere e riscrivere risponde al perenne bisogno di riappropriarsi del passato e di darne l’immagine che più risponde a noi quali oggi siamo, chiusi, come tutti i nostri predecessori e prosecutori, nel breve cerchio della nostra attuale durata.