lunedì 31 agosto 2015

Corriere 31.8.15
La lunga traccia dei desaparecidos attraversa 88 Paesi del mondo
Dal Messico all’Asia: c’è una lista Onu delle persone di cui le famiglie attendono il ritorno
di Michele Farina


Ha detto che usciva con un vecchio amico. Non è più tornato. Era la sera del 24 gennaio 2010. Prageeth Eknaligoda, vignettista e oppositore politico, Sri Lanka. Di lui si parla al presente. Sarà così finché non si farà vivo, o troveranno il corpo. Per la famiglia, gli amici, la speranza è una specie di tortura.
C’è un’ufficio all’Onu, nel Consiglio per i Diritti Umani, che cerca di tenere una lista aggiornata di quelli come Prageeth: 43.250 persone di cui è stata denunciata la scomparsa in 88 Paesi del mondo. L’Asia è il continente più rappresentato. Lo Sri Lanka, uscito da una sanguinosa guerra civile, è al primo posto con 5.676 casi; la Cina è a quota 30; la Nord Corea, una delle dittature più dure, solo 20. E questo spiega perché la lista Onu sia parziale. Viene naturale, nell’International Day of the Disappeared che si è celebrato ieri, pensare che di molti scomparsi sia scomparsa anche la traccia, il filo della denuncia, una campagna per tener vivo il ricordo come è accaduto invece per mesi alle ragazze di Chibok in Nigeria.
È l’altra faccia (sporca) del principio dell’«Habeas Corpus» (a 800 anni dalla Magna Charta), la forma di eliminazione tuttora più amata da certi regimi: «Dite che l’abbiamo ammazzato? E allora fuori le prove, mostrateci il corpo». Anche del vignettista Eknaligoda dicevano che fosse «riapparso» a Parigi. Amnesty International riporta la storia di Ebrima Manneh, giornalista arrestato in Gambia nel 2008 e poi «svanito»: le autorità di Banjul giurano che nelle patrie prigioni non c’è, secondo Amnesty potrebbe essere detenuto nella stazione di polizia di Fatoto. Quello degli «scomparsi» è un fiume che si ingrossa con discrezione, goccia per goccia, nome per nome: in Bosnia a due decenni dalla fine del conflitto resta sconosciuta la sorte di oltre 8 mila persone. I droni possono mappare i tesori minacciati dall’Isis. Ma non c’è occhio così potente da rilevare in tempo reale le fosse comuni in Siria, o stabilire che fine hanno fatto gli oppositori «inghiottiti» dalle miniere di sale del Turkmenistan.
La verità affiora dopo, in differita. E stato così per i desaparecidos dell’Argentina, le 20-30 mila persone fatte sparire dal regime militare di Buenos Aires dal 1976 al 1983. La loro sorte è diventata verbo universale. Non è un caso che in America Latina si è cominciata a celebrare (nel 1998) la Giornata Mondiale del 30 agosto (da un gruppo con base in Costa Rica). Salvador e Guatemala contano decine di migliaia di persone fatte sparire dai «maghi» delle dittature. Ed è in Messico, dove nella «guerra sporca» degli anni Sessanta prese piede la definizione di desaparecidos, che il fenomeno mantiene devastante rilevanza. Il governo denuncia 25 mila sparizioni, senza contare che anche gli apparati di sicurezza hanno i loro scheletri (fantasmi) nell’armadio. Nel settembre di un anno fa a Iguala scomparvero 43 studenti. È probabile che siano stati uccisi dai narcos (complice un sindaco). Avevano dai 17 ai 21 anni. I killer avrebbero impiegato 14 ore per bruciare quei futuri insegnanti e disperderli in un canale. Ma finché non si troveranno i corpi, sono fantasmi a cui rendere onore.