domenica 30 agosto 2015

Corriere 30.8.15
Ungheria, 3 anni di carcere ai clandestini
In Austria trovati su un Tir tre bimbi disidratati
In Grecia spari fra trafficanti e militari: muore un 15enne
di Francesco Battistini


SZEGED (Ungheria) «Saremo schiavi o saremo liberi?». Al confine con la Serbia, spuntano le teste rasate di Jobbik. Quelle che odiano rom ed europeisti. E ogni tanto a Budapest organizzano le ronde della Guardia Ungherese, in divisa nera e coi cinturoni di pelle, come usavano le Croci Frecciate nell’Ungheria nazificata. Per ora, girano in borghese e alla larga dai profughi: «Non siamo qui a creare problemi». Hanno solo da piantare nell’erba vicina al Muro un tricolore con una domanda in caratteri runici — schiavitù o libertà? — che l’irredentista Sándor Petöfi faceva ai magiari del 1848. Hanno solo da aspettare che si riunisca il Parlamento e in un guanto di velluto normativo avvolga il pugno di ferro del premier Orbán.
L’ultimo colpo: la riforma del codice penale. Proposta venerdì, discussa in settimana, in vigore da metà settembre. Inasprisce il reato d’immigrazione clandestina e d’ora in poi non si limiterà a punire — dieci anni — chi traffica in esseri umani o a espellere chi arriva. No: commina tre anni di carcere a chiunque, guerra o carestia non importa, entri illegalmente in Ungheria. Galera dura ai migranti. Tredici articoli che hanno pochi eguali nell’Ue. «Un’inevitabile risposta — spiega Gergely Gulyas, deputato della maggioranza Fidesz — a un’Europa inadeguata e irresponsabile». Il progetto sarà «in linea coi principi internazionali» e infatti non esclude del tutto l’asilo politico a siriani o iracheni: verrà istituita una «zona di transito» fra il confine serbo e il Muro, più o meno cinque chilometri, e qui saranno esaminate le richieste. Niente centri d’accoglienza: «Adesso ce li mettiamo e scappano regolarmente». Nessuna integrazione. E poche deleghe ai civili: la polizia avrà carta bianca, in «situazioni di crisi» anche il sostegno dell’esercito. «Io spero solo che l’Ue reagisca a quest’inasprimento ungherese», protesta Nenad Ivanissevich, ministro del governo serbo che ieri ha dovuto aprire altri due centri profughi. In tutta questa storia «non c’è un fallimento Ue — attacca il presidente del Parlamento Ue, Martin Schulz, parlando dell’Ungheria senza citarla —, piuttosto di governi cinici che non vogliono prendersi responsabilità e impediscono una soluzione europea congiunta».
Non stupisce, l’ultimo giro di chiave ungherese. Il progetto di legge ha bisogno di due terzi dei voti in aula e Orbán s’appella alle opposizioni. Forse non servirà: lo choc per i 71 morti nel Tir al confine austriaco, il mesetto di fermo giudiziario ai quattro «Tirroristi» che portavano il carico, è quanto basta a convincere dell’emergenza l’opinione pubblica ungherese. Jobbik o no, i profughi sono ormai tremila al giorno. Ieri in Austria è stato fermato un camion romeno con dentro tre bambini così disidratati da aver perso conoscenza. I bollettini balcanici somigliano sempre più a quelli mediterranei, i tg danno risalto al 15enne asfissiato su un battello greco. Budapest ha sospeso per un mese i treni locali con la Serbia, annunciando che i 175 chilometri di barriera anti-clandestini sono pronti con due giorni d’anticipo sul previsto. Mentre davanti all’isola greca di Simi è stato fermato uno yacht di 25 metri carico di migranti: nello scontro a fuoco fra trafficanti e Guardia costiera sarebbe morto un 15enne.
«Vogliamo un Paese migliore», dicono quelli di Jobbik. In Parlamento hanno 23 seggi e sanno già che cosa votare, anche se sognavano una legge più severa: «L’Europa doveva essere la nostra terra di Canaan», nel senso della terra promessa, «e invece siamo invasi dai cananei» (nel senso d’ebrei, mediorientali & affini...). Le opposizioni fanno notare che prima di quest’ondata gli stranieri in Ungheria erano solo l’1,4% della popolazione e l’asilo politico era stato concesso in tutto a 550 persone: in Italia, per dire, siamo all’8,1%, con 21.861 rifugiati politici. Obiezione inutile, a Budapest si sta al di qua o al di là del Muro. Quasi un referendum: schiavi dell’Europa o liberi di fare da noi?