venerdì 28 agosto 2015

Corriere 28.8.15
Minacce, «voci» e l’invito a farsi curare Il killer della tv e quei segnali ignorati Il killer ha atteso il suo momento, per essere lui stesso la notizia imitando i terroristi
Molti licenziamenti, l’ultima volta è intervenuta la polizia. Il problema della salute mentale
di Guido Olimpio


WASHINGTON I killer di massa sono dei pianificatori. Preparano il terreno come fosse una battaglia. Si caricano di rancore. Studiano i nemici, reali o creati nella loro mente malata. È come se si considerassero dei guerrieri, in lotta con il mondo che li circonda.
Bryce Williams, alias Vester Flanagan, l’omicida che ha ucciso Alison e Adam, i due giornalisti in Virginia, è venuto da lontano anche se ha cercato pretesti recenti. Nel documento-manifesto spedito all’emittente Abc ha cercato di collegare il suo gesto al massacro nella chiesa di Charleston. E in effetti ha acquistato — regolarmente — due pistole un paio di giorni dopo quel massacro. Perché, ha spiegato, voleva agire come un angelo vendicatore, per punire i razzisti e quanti lo avrebbero discriminato per il colore della pelle. Una carta usata come arma nelle liti infinite con i suoi capi. In apparenza scuse come le «voci» che diceva di sentire e gli atti di bullismo che avrebbe subito dai colleghi nelle tv dove ha lavorato, dalla California alla Florida.
L’assassino ha riempito, fin dal 2000, papelli di denunce, ha consultato avvocati, intentato azioni legali, convinto di essere una vittima. Un lungo periodo dove Williams ha trasmesso all’esterno il suo malessere, i suoi problemi. Gesti spesso inaccettabili, considerati come la conseguenza di un carattere difficile ma che invece dicevano parecchio sull’uomo. Ne sono convinti medici e psichiatri, esperti di questioni criminali: come per molti episodi, dal liceo di Columbine all’elementare di Newtown, c’erano i segnali. Solo che sono stati trascurati. Una conseguenza di un sistema sanitario che non è in grado di seguire queste forme di malattia, di un approccio sociale che tende a ignorare le bombe a tempo. Restano fuori, li considerano degli «isolati», salvo poi sorprendersi quando esplodono. I commenti di queste ore sulla diffusione dei revolver e sui malanni della psiche sono identici, stantii, retorici. Tutti sanno, pochi vogliono fare. Vorrà dire qualcosa se un gran numero di questi assassini ha potuto acquistare, senza problemi, una Glock o la copia di un fucile d’assalto. Hanno superato i labili controlli federali non strutturati per impedire che il disturbato si faccia l’arsenale.
Williams era convinto di essere bravo nel suo mestiere ma non lo era. Se lo hanno cacciato o lasciato andare via da tante redazioni è per due ragioni. Litigava spesso e quando lo mandavano sui servizi non era il massimo. All’emittente WDBJ7, la stessa delle due vittime, i colleghi si sentivano minacciati. La direzione era stata costretta a scrivere una lettera di richiamo minacciando il licenziamento. Inoltre lo avevano sollecitato a curarsi e ad essere più professionale: «Era un registratore umano e non un reporter». Pressioni inutili. Nel febbraio 2013 hanno interrotto il contratto. Evento chiusosi in modo traumatico con l’intervento della polizia per portarlo fuori dagli uffici. Lui aveva reagito con la consueta aggressività. Ad uno dei dirigenti, Dan Dennison, aveva dato una piccola croce in legno dicendo: «Ne avrai bisogno».
Il killer, quel giorno, ha aperto il nuovo fronte contro l’ultimo nemico. Ed ha atteso il suo momento, per creare la notizia d’apertura, per essere lui stesso la notizia imitando terroristi e altri stragisti. Aveva l’asso nella manica, una sorpresa: l’attacco in diretta, come un terrorista. Quando sono arrivate le prime immagini dell’agguato nessuno ha pensato all’ex giornalista. È stato un fotografo, rivedendo il filmato, a riconoscerlo: «Ma questo è Vester». Ormai era troppo tardi.