giovedì 27 agosto 2015

Corriere 27.8.15
La nuova sinistra di scuola ateniese
di Paolo Mieli


Proletari di tutto il mondo unitevi.
Ma se, per un accidente della storia, vi capita di vincere le elezioni, sfogliate i giornali, cercate un pretesto, sparate a zero contro il vostro governo e pensate subito a dividervi. Eviterete così, quando si voterà di nuovo, di dover fare i conti con la realtà ma soprattutto potrete assaporare il piacere di aver provocato un gran danno alla vostra casa madre.
Se sarete abili, di mandarla in rovina. Il «successo» del cofferatiano Luca Pastorino che alle recenti regionali in Liguria ha fatto perdere la democratica Raffaella Paita a vantaggio del berlusconiano Giovanni Toti (pur se è quasi assodato che la Paita sarebbe stata sconfitta anche se Pastorino fosse rimasto, per così dire, al suo fianco) potrebbe diventare il simbolo di un fenomeno di portata continentale.
Alle imminenti elezioni greche si presenterà «Unità popolare» guidata dall’ex ministro Panagiotis Lafazanis che, secondo i sondaggi, potrebbe prendere tra il 5 e il 7 per cento. «Puntiamo su un consenso a due cifre», ha annunciato il suo compagno di scissione Stathis Kouvelakis, docente di filosofia al King’s College di Londra.
Peccato che, come annuncia Vassilis Primikiris, un altro dei leader della nuova formazione «unitaria» — nella storia della sinistra è tradizione di quasi tutti gli scissionisti quella di ornare l’intestazione
del nuovo partito con il termine «unità» — nel nuovo Parlamento i seguaci di Lafazanis non si potranno alleare neanche con i comunisti: «sono indisponibili e lo dico con amarezza, perché vengo da lì come la gran parte dei compagni di Syriza», si rammarica Primikiris. E che persino il loro astro di riferimento, Yanis Varoufakis, li abbia
fin qui snobbati. Lo scopo evidente di Lafazanis e compagni è quello di fare
danno ad Alexis Tsipras anche se è improbabile che riescano a ottenere l’«effetto Toti», riescano cioè a far vincere Nea Dimokratia, la destra di Evangelos Meimarakis. Comunque le percentuali a cui aspirano possono essere considerate un discreto risultato. Risultato che (sempre
che lo ottengano) verrà annunciato proprio nei giorni in cui — dopo la catastrofe elettorale di Ed Miliband del maggio scorso — potrebbe salire sul trono dei laburisti britannici l’iper repubblicano Jeremy Corbyn, deputato da trentadue anni che dall’epoca in cui si affermò Tony Blair e il Labour «sterzò al centro», sostiene di aver votato ai Comuni ben cinquecento volte contro le indicazioni del proprio partito.
Cinquecento casi di disobbedienza politica da parte di un solo individuo. Un record che, qui da noi, farà impallidire i seguaci di Miguel Gotor.
In ogni caso Corbyn conquisterebbe la leadership laburista dall’interno e — pur non essendo stato negli ultimi venti anni un campione di lealtà — rispettando le regole. Non è a lui, quindi, che può essere ricondotto il modello Pastorino-Lafazanis. Semmai ispiratore di questa politica può essere considerato Oskar Lafontaine, eccellente primo ministro della Saar dal 1985 al 1998. Nel ’90 Lafontaine era stato candidato dalla Spd contro Helmut Kohl reduce dalla riunificazione del suo Paese. E aveva perso. Vinse invece, otto anni dopo, Gerhard Schröder che riportò al governo i socialdemocratici tedeschi e chiamò il suo meno fortunato predecessore a guidare il ministero delle Finanze. Ma già nel 1999 Lafontaine lasciò l’incarico (tuonando «contro la dittatura dei mercati finanziari») anche se mantenne, nel partito, la prestigiosa carica di presidente. E da presidente non perse occasione per manifestare il suo dissenso nei confronti della politica di rigore imposta da Schröder (politica, va detto, a cui oggi anche i suoi ex oppositori riconoscono il merito di aver reso possibile che la Germania diventasse la locomotiva del treno europeo).
Nel 2005, Lafontaine lasciò la Spd, fondò assieme ad altri partitini Die Linke (La sinistra) si presentò alle elezioni e da allora ha collezionato una lunga serie di minisuccessi. Ha dimostrato di saper parlare al cuore dell’elettorato di sinistra come tra il 2008 e il 2009, quando il suo candidato alla presidenza della Germania, l’attore Peter Sodann, suggeriva l’arresto del presidente della Deutsche Bank Josef Ackermann, lodava la Ddr — dove pure era stato un dissidente — ricordando come fosse stato «il Paese con il maggior numero di teatri in Europa e con un ottimo sistema sanitario» e proponeva di sostituire l’inno nazionale tedesco con il «Kinderhymne» di Bertolt Brecht. La presidenza poi era stata conquistata dall’ex direttore del Fondo monetario internazionale Horst Köhler ma Sodann e Lafontaine furono contenti lo stesso. Così Die Linke è andata crescendo (pur restando tra il 10 e il 15 per cento) di elezione in elezione e, proprio in virtù di questi exploit , la sinistra tedesca ha sempre perso e Angela Dorothea Merkel ha avuto un’assicurazione a vita alla cancelleria di Berlino. Nel 2008 l’ex leader socialdemocratico Helmut Schmidt, per spiegarne le fortune, ha sostenuto che Lafontaine gode di un grandissimo carisma («come Adolf Hitler», ha aggiunto non senza una qualche malizia).
Nel 2013, Günter Grass, con toni meno eleganti, lo ha definito un «viscido traditore» specializzato nel far perdere la sinistra nel suo insieme. Lafontaine ha risposto per le rime rinfacciando all’autore del Tamburo di latta di aver «assillato» nel lontano 1966 il socialdemocratico Karl Schiller, ministro dell’Economia nel governo di Grosse Koalition, per il suo passato di iscritto al Partito nazionalsocialista. E di averlo fatto mentre taceva la sua appartenenza alle Waffen SS. Anche questo scambio di ceffoni ha deliziato gli spiriti più intransigenti del mondo progressista tedesco e, ad un tempo, i giornali più conservatori che gli hanno dato grande risalto.
E mentre la sinistra tedesca si diletta in questo modo, l’Spd negli ultimi dieci anni (dieci anni!) ha dovuto accontentarsi di stare in grande coalizione con la Merkel dal 2005 al 2009, fuori dal governo tra il 2009 e il 2013, e di nuovo dentro dal 2013 sotto la guida di Sigmar Gabriel che nella recente crisi greca ha assunto una posizione intermedia tra la Merkel e Wolfgang Schäuble. Tale è la fiducia dei socialdemocratici per il futuro che uno dei loro principali leader, il primo ministro dello Schleswig-Holstein, Torsten Albig, ha proposto al proprio partito di saltare il turno elettorale del 2017. Missione compiuta, compagno Lafontaine.