giovedì 27 agosto 2015

Corriere 27.8.15
Il giovane Bellocchio
«Uomo d’armi, alto prelato e faccendiere: tre ruoli nati dalla fantasia di papà»
intervista di Stefania Ulivi


Uomo d’armi. Prelato. Faccendiere. Si è fatto in tre Pier Giorgio Bellocchio in Sangue del mio sangue il nuovo film del padre Marco in gara a Venezia 72. «Sono Federico Mai, un uomo d’armi che viene richiamato nel borgo di famiglia dalla madre, disperata perché il fratello gemello, ordinato sacerdote, si è suicidato nel convento del paese e non potrà essere seppellito in terra consacrata», racconta Pier Giorgio. «L’impegno di Federico a dare degna sepoltura al fratello, a salvargli l’anima, lo porta a incontrare una suora strega, murata viva nelle antiche prigioni, e i suoi stessi fantasmi, compreso il gemello prelato. Quindi con un salto temporale di 400 anni ritroviamo Federico nello stesso luogo, Bobbio, ma ora è un faccendiere, un personaggio molto contemporaneo».
Un film che è l’apice del cinema familiare di Bellocchio, in cui ha riunito i «suoi» attori — Roberto Herlitzka, Alba Rohrwacher, Filippo Timi, Toni Bertorelli, Bruno Cariello — presenze che lo hanno accompagnato, di film in film. E che alleggeriscono, in parte, la responsabilità di Pier Giorgio di caricarsi tutto sulle spalle. Ma certo non cancellano la forza di un legame che scandisce non solo la sua vicenda personale ma anche quella professionale.
«Essere figlio non è una scampagnata. Siamo una generazione di figli anche a 40 anni, mentre loro erano già padri a vent’anni. Io resterò figlio fino a 80 anni…» ci raccontava tempo fa Pier Giorgio, classe 1974. Lo ribadisce, scherzandoci su. «Non posso farne a meno, vista la maniacale necessità di ricordarmi la mia biografia. Non basta che porti il suo cognome, che gli assomigli così tanto, è talmente evidente che sono suo figlio... Ma va bene, ci sorrido».
A lui piace sottolineare altro. «Il nostro è un percorso unico nel panorama cinematografico italiano, non credo ci sia un’altra coppia padre e figlio che abbia lavorato così a lungo in maniera così proficua». Aveva sei anni quando debuttò, accanto al padre e alla madre Gisella Burinato in Vacanze in Val Trebbia e Salto nel vuoto . Replicherà dopo quasi vent’anni con La balia e poi è diventato una presenza costante: Buongiorno notte , Vincere, La bella addormentata .
La chiave di tutto, racconta, è Bobbio. Il borgo in provincia di Piacenza dove Marco girò I pugni in tasca e dove insieme padre e figlio danno vita ogni estate ai laboratori Farecinema e al festival. « Per Marco Bobbio è il luogo d’origine di cui si è riappropriato negli ultimi. È diventato la sua piccola Cinecittà. Lì troviamo la libertà che non avremmo altrove, abbiamo girato in sei settimane con una troupe ristretta e la sua famiglia cinematografica».
È stata la scoperta casuale delle antiche prigioni di Bobbio a dare lo spunto a Bellocchio per il nuovo film. «In Sangue del mio sangue , Bobbio è un personaggio a sé che rappresenta il mondo intero. Nel presente la troviamo governata da uno strano personaggio, Roberto Herlitzka, una specie di vampiro. Federico si accompagna a finanzieri russi, cerca di truffare i suoi stessi concittadini. Sono il vecchio che scompare e il nuovo che avanza. Un po’ come la classe politica democristiana: sapevamo tutti che rubavano ma vent’anni di berlusconismo ce li hanno fatti rimpiangere. Ormai la politica è diventata sinonimo di arricchimento e e evoca quella frase terribile: “si stava meglio quando si stava peggio”».
Dopo Venezia lo aspetta il teatro. «Antigone con Filippo Gili. E, appena possibile, con Sergio Rubini riprenderemo in mano il nostro lavoro su Dostoevskij. Recitare al cinema per me è qualcosa di naturale, ci sono cresciuto dentro. In teatro ritrovo lo stimolo, l’obbligo ad andare oltre».
E lo aspettano le due figlie, a cui dedica tutto il tempo che può. «Sono padre felice di due bambine, Giulia di 8 anni e Irene di 4. Cerco di essere affettuoso e più presente possibile. Devo molto a mia moglie Laura, la donna fondamentale della mia vita. È stata lei a dirmi: “smetti di perdere tempo”. Con loro scopro il mondo femminile. Sto imparando, per esempio, che le donne pensano già da bambine». Scusi, i maschi no? «Le donne non si accontentano, sono ricche di sfumature. Ai maschi da piccoli basta poco. Io ho iniziato a leggere finito il liceo. Fino ad allora il mio vero interesse era il rugby».