Corriere 26.8.15
Ambizioni e difficile realtà
di Massimo Franco
Liquidare «il ventennio» passato come un rosario di occasioni perdute dall’Italia significa stilare un verbale del declino difficilmente contestabile: anche se si dimentica l’ingresso del nostro Paese nel sistema della moneta unica, e le speranze che l’euro creò. Il problema è che nel bilancio fatto ieri da Matteo Renzi al Meeting di Comunione e liberazione a Rimini, e poi a Pesaro con l’annuncio dell’abolizione di Imu e Tasi nel 2016, risuona anche un’eco del passato. L’impressione è che il presente venga esaltato in modo eccessivo. L’idea di uno spartiacque virtuoso, rivoluzionario, appartiene ad una narrativa magari comprensibile ma controversa. È vero che per il presidente del Consiglio si trattava di tornare sulla scena dopo settimane difficili; di riaffermare un protagonismo marcato in vista di scadenze istituzionali cruciali come la riforma del Senato, e di una legge di Stabilità insidiata dalla crisi finanziaria cinese.
Proprio il contorno di incertezza, però, tende a schiacciare l’esecutivo sulle esperienze deprecate dalle quali si vuole distanziare.
È condivisibile l’analisi sull’eccesso di ideologia che tuttora permea il sistema. E l’espressione «provincialismo della paura» rende bene il modo in cui alcune forze politiche fomentano la xenofobia e il timore dei cambiamenti. Rimane però
il sospetto che il governo descriva in maniera efficace
i problemi, ma fatichi a risolverli.
Per quanto sia difficile contestare la tesi del premier secondo la quale «veti e controveti» hanno bloccato il Paese, c’è da chiedersi se oggi la situazione sia così diversa.
Sul Senato è lo stesso Pd di cui Renzi è segretario a seminare resistenze e incognite destinate a pesare sul merito della riforma e perfino sulla tenuta della maggioranza. Né convince del tutto la contrapposizione tra i «cattivi» che vogliono ancora l’elezione diretta dei senatori e i «buoni» che puntano a svuotarlo attraverso la riforma.
L’idea di affidare la modernità del Senato a un listino scelto dai Consigli regionali, grumi di una spesa pubblica irresponsabile e spesso di un malgoverno ai limiti dei codici, come ammette la stessa Consulta, è per lo meno opinabile. Quanto all’agenda delle priorità economiche, per il momento non è sempre decifrabile. Non solo. Quando il premier parla di abolizione delle tasse sulla casa e più in generale di abbassamento del carico fiscale, viene subito da pensare come saranno compensati.
I margini di manovra che l’Europa dovrebbe concedere all’Italia rimangono aleatori. La tentazione di sfondare il tetto del patto di Stabilità è evidente. Riflette uno scetticismo di fondo sulle politiche rigoriste dell’Ue, che anche ieri Renzi non ha nascosto; e che, va detto, trova più di una giustificazione. La prospettiva di uno strappo appare, tuttavia, altamente rischiosa. Tradisce la preoccupazione di chi si è dato obiettivi molto ambiziosi, e capisce quanto siano sfuggenti.
Il pericolo vero, per Palazzo Chigi e per l’Italia, è un limbo nel quale si sarebbe costretti a galleggiare perché il ritorno indietro comporterebbe solo una regressione; ma il futuro per ora si configura segnato da incertezze assai poco rassicuranti. Nell’abbozzo di una politica post ideologica che Renzi offre, si indovina lo sforzo di superare questo stallo; di individuare il nucleo di un nuovo modello. Riaffiora l’embrione di una formazione che non parli solo alla sinistra, e anzi si guardi da una certa sinistra passatista.
Si tratta di una sfida che comporterà rotture e traumi, dei quali già si intravedono i prodromi. Rimane da capire se il Renzi di oggi abbia la stessa forza, la stessa aura di vincente e le stesse alleanze di un anno fa: non solo per sostenerla ma per vincerla.