domenica 23 agosto 2015

Corriere 23.8.15
Cerchi la giustizia e trovi l’eternità
Giovedì in libreria un nuovo libro di Emanuele Severino
L’indagine del filosofo tocca un tema capitale senza ricorrere alle categorie della politica e dell’etica
Concetto né divino né umano né naturale: la via difficile di Emanuele Severino , l’ultimo dei greci
di Mauro Bonazzi


Dike, la giustizia: per Esiodo è la divinità che collabora con Zeus alla punizione delle colpe umane (la giustizia divina). Con i sofisti cambia tutto e diventa il risultato di accordi umani (la giustizia come convenzione). Contro i sofisti Platone propone una definizione destinata a immensa fortuna: giustizia è rendere «a ciascuno il suo», unicuique suum come dirà Tommaso d’Aquino (la giustizia naturale). Sono tesi differenti, che condividono lo stesso assunto di fondo, l’idea che parlare di giustizia significhi trattare di politica ed etica.
Riattingendo dalla sapienza dei primi pensatori greci — Anassimandro, Eraclito, Parmenide — Emanuele Severino segue un’altra via. Nell’esperienza comune la giustizia può apparire come la riparazione di una violazione: e questa è l’origine del pensiero politico. Per Severino, invece, Dike è «il contenuto della necessità», è la rivelazione dell’ordine che tiene insieme la realtà: degli enti, di ogni cosa e di ciascuno di noi. Non ci sono riparazioni e non ci sono violazioni, perché tutto è come deve essere. Pensando al titolo il lettore poteva attendersi una riflessione di carattere politico. Ma si ritrova immerso nella filosofia, paradossale, terribile, appassionante (è stato detto di tutto), che Severino è venuto sviluppando nel corso degli anni.
L’idea di fondo del suo pensiero ruota intorno ai due opposti della follia e del destino. Il problema degli uomini è la credenza nel nulla, l’illusione che tutto ciò che esiste, l’ente, prima non ci fosse e dopo non ci sarà. Dal non essere all’essere e ancora al non essere: è il ciclo della vita che diviene. Ma questa certezza nell’esistenza del divenire è una forma estrema di «nichilismo» tragico: è nichilismo perché il divenire presuppone il non essere e dunque il nulla; ed è tragico perché di fatto riduce la vita a una corsa verso la morte (il non essere, il nulla).
Ma in Severino non c’è spazio per il tragico, perché la certezza nel divenire, che sta alla base della filosofia occidentale e della religione cristiana, è un’illusione, contraddetta da ragionamenti incontrovertibili. L’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può non essere, affermava Parmenide. Dire che l’essere è non essere, o che l’ente è niente, è contraddittorio. L’unica conclusione coerente è, allora, che ogni ente — tutte le cose, tutti gli eventi, ciascuno di noi (e non solo l’essere in generale di Parmenide o il Dio del cristianesimo) — è in quanto è ente: e se è, è eterno, non viene all’essere (non nasce) e non finirà nel nulla (non muore). Vita e morte sono un abbaglio di chi non ha capito cosa vuol dire «essere». Si pensa alla vita come a un film, in cui fotogrammi scorrono verso una conclusione, senza rendersi conto che tutti i singoli fotogrammi sono sempre lì e niente passa o si perde. Illusi dai loro errori gli uomini si angosciano per la morte e non si accorgono che sono già da sempre salvi, «nella Gloria e nella Gioia».
Nel 1969 la Congregazione per la dottrina della fede dichiarò che la filosofia di Severino era incompatibile con la rivelazione cattolica e la condannò come speculazione atea. L’insistenza su termini come la salvezza o la gloria, che tradiscono un afflato teologico, potrebbero allora apparire come il segno di un ripensamento tardivo. In realtà proprio l’uso di questi concetti permette di comprendere il significato del progetto severiniano, che rinnova il confronto secolare tra religione e filosofia, prendendo le parti della seconda. La filosofia, quando è veramente filosofia, è il tentativo di spiegare — su basi razionali, senza bisogno di rivelazioni o illuminazioni — cosa sia la realtà e quale sia il suo senso. La filosofia è conoscenza e la conoscenza salva, perché ci aiuta a capire come stanno le cose: che non vi è nulla oltre agli enti (le cose, noi), che il paradiso (la Gloria) è qui e ora, che la morte non esiste. Nella sua incrollabile certezza che la logica ci apra le porte della realtà, Severino è davvero l’ultimo dei greci.
I problemi naturalmente non mancano. Questo nuovo libro edito da Adelphi s’intitola Dike , Giustizia, ma come i libri precedenti gira intorno a una parola inquietante, «necessità». Se tutto è necessitato, vuol dire che niente è libero; e se niente è libero, non ha senso parlare di responsabilità o di progetti. Il titolo poteva sembrare fuorviante ma il motivo della provocazione è chiaro: nel mondo di Severino non c’è spazio per la politica, intesa come cambiamento dell’esistente. Quello che serve è uno sguardo capace di contemplare l’eternità. Non è semplice e la teoria dell’eterno ritorno di Friedrich Nietzsche spiega perché: tutto si ripete eternamente — non solo le cose belle, ma anche quelle brutte, e quelle terribili. Siamo pronti a dir di sì a tutto? Al netto della differenza tra divenire ed essere, lo stesso vale per Severino: tutto è eternamente, un bacio, la Shoah, la pioggia che cade. In che senso una verità come questa salva?
Sono domande difficili, che si prestano a facili fraintendimenti. Ma sono domande che vanno poste, perché i problemi sono reali. Il contrasto tra libertà e necessità, la vita e la morte, il dolore e la gioia, la verità e la politica. C’è qualcuno che può fare a meno di confrontarsi con queste domande? La sfida di Severino è mostrare che le cose stanno diversamente da come siamo abituati: «Non si tratta di rassicurare il mortale, ma di mostrare la verità del destino». E la verità, osservava Giacomo Leopardi, non è necessariamente buona o bella, ma non per questo va respinta.