venerdì 21 agosto 2015

Corriere 20.8.15
Dubbi, polemiche, pregiudizi. Ma resta una conquista (anche se è migliorabile)
di Anna Meldolesi


L’ arrivo sul mercato del primo farmaco che promette di aumentare (un po’) il desiderio femminile non poteva filare via liscio, come se si trattasse di un rimedio qualsiasi per il raffreddore. La tormentata storia della flibanserina è paradigmatica, perché racconta la difficoltà di trovare nuovi equilibri tra pressioni culturali, trasformazioni della società e logiche scientifiche.
La sessualità delle donne è un terreno scivoloso. Non ci siamo ancora liberate dai vecchi pregiudizi, che ci vorrebbero meno interessate al sesso rispetto agli uomini. Mentre modelli culturali strabici esaltano una sessualità avventurosa e appassionata, alimentando l’insoddisfazione di tante e tanti per la routine. Altre bucce di banana contribuisce a seminarle la moderna medicina, alle prese con una ridefinizione del concetto di cura che tende ad allargarsi, inglobando anche la ricerca del benessere. Nel caso della flibanserina entra in gioco anche un altro fenomeno emergente. Quello dei gruppi di pressione e dei pazienti che spingono per abbassare i livelli di sicurezza standard pur di vedere approvati nuovi trattamenti.
Mantenere una fredda valutazione del rapporto tra rischi e benefici in queste condizioni è difficile ma bisogna provarci. Hanno torto le donne che hanno accusato la Food and Drug Administration (Fda) di sessismo, imputando all’agenzia regolatoria la responsabilità del ritardo con cui il farmaco si affaccia sul mercato, 17 anni dopo il Viagra. La ricerca scientifica è fatta anche di serendipity , di casi fortunati. Mentre si sperimenta una medicina per il cuore, può accadere di scoprire che funziona per l’impotenza (è successo per la pillola maschile). Mentre si testa un antidepressivo ci si può accorgere che aumenta un po’ il desiderio femminile (è accaduto così per la flibanserina). Se l’agenzia Usa ha esitato prima di dare il via libera è perché gli effetti collaterali sono importanti (vertigini, svenimenti, insonnia) mentre l’efficacia è piuttosto limitata.
Chi ha assunto il farmaco in via sperimentale ha dichiarato mediamente 4,4 rapporti sessuali soddisfacenti in un mese, che sono più di quelli che aveva in precedenza (2,7) ma superano di poco la soglia raggiunta ingerendo un placebo (3,7). È probabile che solo un numero ristretto di donne ne trarrà giovamento davvero, mentre tante altre potrebbero correre inutili rischi.
Ma chi stabilisce se la ricerca di un orgasmo extra al mese conti più o meno di una nausea? Vale la pena di assumere una pillola al giorno, visto che la flibanserina non si prende solo all’occorrenza come il Viagra? È congrua una spesa di centinaia di dollari al mese? E poi in cima a tutte c’è la regina delle domande. A rispondere devono essere solo i comitati di esperti oppure ogni donna ha il diritto di valutare per sé?
La libertà dei singoli è il più prezioso dei valori, ma si esercita davvero solo quando è accompagnata da una corretta informazione, che tutti siamo chiamati a dare e a ricercare, resistendo sia alle pressioni del marketing che alle sirene ideologiche. Non esiste un livello salutare e uno malato di libido, ha notato qualcuno. Il calo del desiderio nei rapporti di lunga data è fisiologico, si sa. La sessualità delle donne è più complicata di quella maschile. Si possono trovare tante argomentazioni contro la medicalizzazione del sesso, in tutte c’è un nocciolo di verità ma anche un po’ di retorica e forse il retropensiero che la scienza farebbe meglio a tenersi alla larga dal mondo delle nostre pulsioni.
Per trovare un Viagra femminile che sia farmacologicamente all’altezza di quello maschile, però, ci vorrebbe più ricerca non meno. Se è possibile ricavare una morale, forse è quella racchiusa nelle parole di Amy Whitaker, ginecologa e membro del comitato Fda: benvenuta flibanserina, avremmo tanto voluto che fossi un farmaco migliore.