giovedì 9 luglio 2015

Repubblica 9.7.15
Condannato Berlusconi
La democrazia inquinata
di Stefano Folli


LA SENTENZA di Napoli è prima di tutto la fotografia di un grande squallore morale che si è trascinato nel tempo e ha contribuito a inquinare la dialettica politica e parlamentare. Un costume perverso le cui conseguenze a lungo termine il paese sconta ancora oggi con il discredito della classe politica, lo scetticismo diffuso nell’opinione pubblica, la diffusione non effimera dei movimenti anti-sistema. Il verdetto dei giudici napoletani inquadra un tassello di questo mosaico: uno solo, ma è un tassello di assoluta gravità.
E SI capisce: il protagonista del caso di corruzione era in quegli anni — fra il 2006 e il 2008 — uno dei personaggi di maggior spicco sulla scena pubblica, per certi aspetti l’uomo più potente d’Italia. Già presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi sarebbe tornato a esserlo di lì a poco: era nel pieno della sua lunga e condizionante stagione politica. Corrompendo De Gregorio, egli affrettò la caduta del governo di Romano Prodi nel 2008. Probabilmente Prodi sarebbe caduto comunque a causa della debolezza della sua coalizione e dei giochi di potere all’interno del centrosinistra.
Ma, a ben vedere, non è questo il punto. Non si tratta oggi di riscrivere la storia di quel governo, minimizzando le ragioni politiche del collasso. Il nocciolo della questione riguarda invece l’aberrazione di una pratica immorale che è sconfinata addirittura nel reato penale, ignorando il rispetto per le istituzioni e infrangendo le regole basilari che definiscono il codice di comportamento fra avversari. Conosciamo gli argomenti della difesa: il voto di un parlamentare non è mai sindacabile; nel merito delle sue scelte, per quanto contraddittorie, la magistratura non può entrare, pena il venir meno del principio costituzionale del mandato che si esercita senza vincoli.
Sono questioni di fondo che non si possono sottovalutare, ma che non possono nemmeno servire come alibi per mascherare una truffa. In primo luogo una truffa ai danni degli elettori, a cui non si può offrire lo spettacolo del mercimonio parlamentare e poi rammaricarsi per il distacco fra il cittadino e le istituzioni. Berlusconi non sconterà mai la condanna in primo grado che gli è stata inflitta: prima della fine dell’anno interverrà comunque la prescrizione e la questione sarà archiviata. Resta però una macchia su un uomo che ha già pagato per altre ben note vicende processuali, ma che per la prima volta viene colpito a causa di un atto illegale connesso in modo diretto alla sua attività politica.
Proprio questo aspetto accenderà la polemica. Si dirà che da Napoli è venuta una condanna politica volta a ricostruire in modo capzioso una pagina della recente storia italiana e a colpire di nuovo un perseguitato. In realtà i dati di fatto erano consistenti, sostenuti dalla confessione del diretto interessato, De Gregorio. La corruzione esiste e, quando è conclamata, non può facilmente essere derubricata a tattica politica un po’ spregiudicata. Quanto meno questo non è consentito in nessuna società democratica, fondata su un solido apparato istituzionale e dove esiste un sistema di controlli efficiente. In tali società, ad esempio negli Stati Uniti, nessuno pensa di confondere un tentativo di corruzione, o peggio ancora una corruzione riuscita, con un esercizio di libertà costituzionale.
La sentenza di Napoli deve semmai suggerire un’altra riflessione. Se l’assetto politico nel paese è ancora così poco solido e convincente, fino a suggerire una sensazione di fragilità che deve essere corretta da modelli elettorali molto rigidi, la responsabilità è anche di chi ha giocato negli anni con i valori della democrazia, anziché servire la cosa pubblica con senso dello Stato. In particolare, se oggi il centrodestra è in difficoltà e non sa come riemergere dal ventennio berlusconiano, superato da Lega e Cinque Stelle, la causa va ricercata nell’attitudine di chi per lungo tempo ha piegato la volontà degli elettori al proprio esclusivo interesse personale. Lasciando alla fine solo macerie.