mercoledì 8 luglio 2015

Repubblica 8.7.15
Una via di fuga per la Grecia
di Paul Krugnan


L’EUROPA, domenica scorsa, ha schivato una pallottola. Smentendo molte previsioni, gli elettori greci hanno sostenuto con forza il rigetto delle richieste dei creditori da parte del loro governo. E anche i più ardenti sostenitori dell’Unione europea dovrebbero tirare un sospiro di sollievo. Ovviamente non è così che i creditori vorrebbero farvi vedere la faccenda. La loro interpretazione, riecheggiata da tanti sulla stampa internazionale, è che l’insuccesso del tentativo di intimidire la Grecia per spingerla ad accondiscendere alle loro richieste è stato il trionfo dell’irrazionalità e dell’irresponsabilità contro i saggi consigli dei tecnocrati. Ma la campagna di intimidazione, il tentativo di terrorizzare i greci tagliando i finanziamenti alle banche e minacciando il caos generalizzato, tutto con l’obiettivo quasi dichiarato di far cadere l’attuale governo di sinistra, è stato un episodio ignominioso in un’Europa che sostiene di credere nei principi della democrazia: se la campagna avesse avuto successo avrebbe stabilito un precedente terribile, anche se i creditori avessero avuto ragione.
Ma quel che è peggio è che non avevano ragione. La verità è che i cosiddetti (cosiddetti da loro stessi) esperti europei sono come i dottori medievali che insistevano a salassare i loro pazienti, e quando la cura li faceva ammalare ancora di più prescrivevano altri salassi ancora. Un “sì” nel referendum di domenica avrebbe condannato i greci ad altri anni di sofferenze, sotto il peso di politiche che non hanno funzionato e che in realtà, per semplice aritmetica, non possono funzionare: l’austerità verosimilmente fa contrarre l’economia più in fretta di quanto non riduca il debito, e tutte le sofferenze finiscono per non servire a nulla. La schiacciante vittoria del “no” offre almeno una chance per sfuggire a questa trappola. Ma come può essere gestita questa chance? Esiste un modo per manterene la Grecia nell’euro? E, in generale, è auspicabile che la Grecia rimanga nell’euro?
L’interrogativo più immediato riguarda le banche greche. Nei giorni prima del referendum, la Banca centrale europea ha tagliato l’accesso ai fondi addizionali per gli istituti di credito ellenici, contribuendo a far precipitare il panico e costringendo il governo a imporre la chiusura delle banche e i controlli di capitale. L’Eurotower ora si trova di fronte a una scelta imbarazzante: se ripristinerà i normali finanziamenti sarà come se riconoscesse che il precedente congelamento era motivato da ragioni politiche, ma se non lo farà di fatto costringerà la Grecia a introdurre una nuova moneta. Per scendere nello specifico, se da Francoforte non comincerà ad affluire denaro, la Grecia non avrà altra scelta che cominciare a pagare salari e pensioni con “pagherò” che, nella pratica, costituiranno una moneta parallela e che nel giro di non molto potrebbero trasformarsi nella nuova dracma. Supponiamo, per altro verso, che la Banca centrale europea ripristini i normali prestiti e che la crisi bancaria si attenui. Resterebbe comunque aperto il problema di come far ripartire la crescita economica.
Nei negoziati infruttuosi che hanno portato al referendum di domenica, l’intoppo principale era rappresentato dalla richiesta greca di un alleggerimento permanente del debito, per rimuovere la nube che pesa sulla sua economia. La Troika — le istituzioni che rappresentano gli interessi dei creditori — ha rifiutato, anche se ora sappiamo che uno dei membri della suddetta, il Fondo monetario internazionale, è giunto per conto proprio alla conclusione che il debito della Grecia non può essere ripagato. Riprenderanno in considerazione la questione, ora che il loro tentativo di spodestare la coalizione di sinistra al potere ad Atene è fallito? Non ne ho idea: e in ogni caso ora si può sostenere con valide ragioni che l’uscita della Grecia dall’euro sia la migliore fra le cattive opzioni disponibili.
Immaginiamo, per un istante, che la Grecia non abbia mai adottato l’euro, limitandosi a fissare il valore della dracma contro la moneta unica. Cosa dovrebbe fare a questo punto, secondo un’analisi economica elementare? La risposta, a schiacciante maggioranza, sarebbe che dovrebbe svalutare, lasciar scendere il valore della dracma per incoraggiare le esportazioni e spezzare la spirale della deflazione. Ovviamente la Grecia non ha più una valuta propria, e molti analisti sostenevano che l’adozione dell’euro era una decisione irreversibile, perché qualsiasi accenno di un’uscita dalla moneta unica avrebbe scatenato devastanti assalti agli sportelli e una crisi finanziaria. Ma a questo punto la crisi finanziaria è già avvenuta, e dunque il costo maggiore di un’uscita dall’euro è stato pagato: e allora perché non andarsi a cercare i benefici?
L’uscita della Grecia funzionerebbe bene come l’efficacissima svalutazione islandese del 2008-2009 o come l’abbandono della parità peso- dollaro da parte dell’Argentina nel 2001-2002? Probabilmente no, ma considerate le alternative: se la Grecia non otterrà un alleggerimento del debito importante, e forse neanche in quel caso, lasciare l’euro rappresenta l’unica via di fuga plausibile dal suo incubo economico senza fine. E diciamo le cose come stanno: se Atene finirà per lasciare l’euro, non vorrà dire che i greci sono cattivi europei. Il problema del debito in Grecia è nato perché qualcuno ha prestato soldi ai greci in modo irresponsabile, non solo perché i greci hanno chiesto soldi in prestito in modo irresponsabile. E in ogni caso i greci hanno scontato i peccati del loro governo già molto più del dovuto. Se non riescono a mettere a frutto la moneta unica, è perché la moneta unica non dà respiro ai Paesi in difficoltà. La cosa importante, ora, è fare tutto il possibile per mettere fine al salasso.