Repubblica 3.7.15
“Se fossi greco domenica al referendum voterei no”
Thomas Piketty. “L’unica soluzione è la ristrutturazione del debito” sostiene l’economista francese. “Le minacce europee? Non sono credibili: si dovrà ancora trattare con Atene. “Espellere un Paese non servirà a nulla così l’Eurozona rischia la catastrofe”
intervista di Anais Ginori
PARIGI . «Sbaglia chi crede che l’espulsione di un Paese sarà un modo per disciplinare e stabilizzare l’eurozona. Quelli che pensano così sono degli apprendisti stregoni». Thomas Piketty risponde indirettamente ai promotori del Grexit, i falchi sempre più numerosi in Germania ma ormai anche in Francia, convinti che espellere la repubblica ellenica sia l’unica soluzione per salvare l’unione monetaria. «In verità, l’uscita di un Paese renderà più fragile l’insieme dell’eurozona. Potrebbe essere l’inizio della fine », spiega l’economista, 44 anni, autore del bestseller Il capitale del XXI secolo e docente alla Paris School of Economics. Qualche giorno fa, ha firmato insieme ad altri economisti, tra cui il Nobel Stiglitz, un appello sul Financial Times per chiedere ai governi europei di aiutare Atene a pagare 1,6 miliardi di euro al Fmi. La richiesta, come si sa, non è stata accettata. E dalla mezzanotte del 30 giugno la Grecia è entrata in procedura di default. «Siamo vicini a una catastrofe», osserva Piketty. «Il Grexit significa aprire un vaso di Pandora. È un errore drammatico, storico». L’economista francese ricorda che la Grecia è il Paese che ha più ridotto il suo deficit tra il 2009 e il 2014, sottoponendosi a una cura d’austerità di cui gli stessi esperti del Fmi sono ormai pentiti. Al di là delle proposte e controproposte delle ultime ore, resta un nodo cruciale da sciogliere. «Non c’è altra strada che la ristrutturazione del debito», ripete Piketty che nel suo voluminoso saggio analizza anche l’evoluzione storica dei debiti pubblici.
Se fosse un elettore greco, voterebbe sì o no al referendum?
«Il piano proposto dai creditori provocherà recessione. Quindi se dovessi pensare solo al bene della Grecia, la risposta dovrebbe essere chiaramente no. Ma, vedendo la violenza della minaccia di espulsione dall’eurozona proferita dagli europei e la politica di asfissia della Bce, capisco che molti greci siano tentati dal votare sì».
La vittoria del no provocherà
automaticamente un’uscita della Grecia dall’euro?
«Sono convinto che le minacce dell’Europa non siano davvero credibili: qualsiasi sia l’esito del referendum, i Paesi europei dovranno rassegnarsi a sedersi di nuovo al tavolo dei negoziati con il governo di Atene».
Eppure sono Tspiras e il suo ministro Varoufakis che hanno abbandonato le trattative con i creditori. Non hanno sbagliato anche loro?
«Certo. Bisogna riconoscere che la loro strategia di comunicazione non è riuscita. Penso soprattutto che avrebbero dovuto dimostrare che trattavano per trovare soluzioni nuove per tutta l’eurozona e non solo per la Grecia ».
E quali sarebbero le colpe di Merkel e Hollande?
«Nel 2012, i dirigenti europei avevano promesso di impegnarsi su una ristrutturazione del debito greco appena il Paese fosse stato in una situazione di avanzo primario del bilancio statale. Nel 2014 il governo greco ha ottenuto questo risultato ma i dirigenti europei hanno tradito la loro promessa. È questo tradimento che ha provocato a dicembre la caduta dell’esecutivo (di Antonis Samaras, ndr ) e poi l’arrivo al potere di Syriza nel gennaio scorso».
Perché le discussioni con Tsipras non sono andate nel verso giusto?
«Da gennaio i dirigenti europei continuano a rifiutare di mettere sul tavolo il tema della ristrutturazione de debito, puntando ora a un avanzo primario della Grecia che dovrebbe essere addirittura del 4% del Pil a partire dal 2017-2018 e per i prossimi decenni. Tutti sanno che non è un ipotesi realista. Eppure non si affronta la questione, tutti rifiutano di parlare del vero nodo della questione greca. È davvero avvilente ».
Un eventuale Grexit potrebbe avere un effetto contagio su altri Paesi fortemente indebitati come Italia o Francia?
«Le conseguenze sarebbero negative per tutti: è il motivo per cui Renzi e Hollande dovrebbero prendere più apertamente posizione contro un Grexit e indicare una via d’uscita dalla crisi».
Quali potrebbero essere le soluzioni?
«Bisogna convocare una conferenza sul debito che permetta di avviare la ristrutturazione dell’insieme dei debiti dell’eurozona. Non dobbiamo dimenticare che l’Europa si è costruita sulla cancellazione dei debiti pubblici del passato per poter investire sul futuro. La Germania, che non ha mai rimborsato i suoi debiti durante il XX secolo, potrebbe prendere ispirazione dalla propria storia».
Vede altre strade possibili?
«Creare un parlamento dell’eurozona, con rappresentanti delle Camere nazionali in proporzione alla popolazione di ogni Paese, che possa regolare in modo democratico il livello prefissato di deficit e investimenti pubblici, avendo anche la supervisione dell’unione bancaria e del meccanismo europeo di stabilità. La crisi ha dimostrato l’opacità e l’inefficacia delle attuali istituzioni europee».